Non c’è niente da fare, quando ci si ritrova davanti a fenomeni musicali, di costume, di perseveranza diabolica, incontrollabili ed imperscrutabili, occorre rassegnarsi ed accettarli, senza tentare di capirli.
Allen West è come la Luna: ne vediamo sempre la stessa faccia, costantemente il solito riffing work, i consueti solos con la leva del distorsore azionata alla fine, come il coperchio che cala sulla bara. Sembra che questo chitarrista statunitense sia sempre esistito, ce lo ritroviamo spesso in qualche disco o in qualche nuova compagnia di vecchi musicisti; ma il bello è che ritroviamo sempre l'incerottato death metal lento. Allora il nostro cervello vorrebbe respingerlo ed invece cede ancora una volta, fornendogli una possibilità.
I Lowbrow appaiono come una sintesi degli Obituary e dei Six Feet Under, con la questione aperta della novità che non c'è e non ci sarà mai: riff nuovi in questo slowly death metal è difficile trovarne, soprattutto per questa band che detesta la velocità e non ha la grinta necessaria per fondere qualche sussulto preso dalle due band prima citate. Così si presentano i Lowbrow, fondati nel 1998 non da Allen West ma dall’ex roadie degli Obituary Rich Hornberger, ennesimo catarroso vocalist degli anni’90 che imita Chris Barnes, Karl Willets e perfino Stephen Gebedy, al quale si uniscono due componenti dei Nasty Savage ovvero il bravo chitarrista Ben Meyer ed il drummer Curtis Beeson. Completa la formazione il bassista Scott Carino che in seguito verrà sostituito da un altro Nasty Savage del periodo di "Penetration Point", l'inossidabile Richard Bateman. L’amicizia che ha sempre legato i componenti dei Nasty Savage con gli Obituary è alla base di questo progetto e quindi tutto sembra nascere sotto buoni auspici per i fan delle due band madri, insomma ci aspettiamo che Ben Meyer modifichi l’assetto dei riff di Allen, escogitando qualche nuova trovata, altrimenti potrebbe sorgere la domanda “Che ci sta a fare Ben Meyer in una band di death metal, fuori dal suo orticello heavy?"
Il debut album “Victims At play”, uscito sul suolo americano nel 1999, fornisce la risposta subito con l’opener “Flesh Parade”, un pezzo tutto sommato discreto, che certamente non brilla per originalità. In fondo troviamo il solito death metal lento e poi un botta e risposta di assoli che ci fanno cadere le braccia: non si capisce la differenza tra un chitarrista e l’altro, vengono rimpianti perfino gli assoli copia-incolla di Danny Coralles ed Eric Cutler che facevano sentire la loro orchestrina crepuscolare in mezzo al pantano Autospy. La produzione del disco è opera, guarda caso, di Donald Tardy degli Obituary, che però non riesce a ristabilire gli standard doom di “The End Complete” e neanche l'influsso licantropico dei Six Feet Under di “Haunted”. Nel prosieguo del disco si va di male in peggio: sempre i ricorrenti riff e le idee Obituary catatoniche, sottolineate perfino dal drumming di Beeson simile allo stile di Greg Gall. C’è spazio per l'episodio movimentato “Disheveled”, che sembra ispirarsi ai Bolt Thrower di “Warmaster”, che si contrappone a brani indigeribili e imbalsamati quali “Restoration” e “Fabrication”, dove un riff continua a ripetersi come le stanze del “Cubo” di Natali. L'unico brano speed dell’album è “Done In”, probabilmente il più dignitoso dopo l’opener, caratterizzato almeno da un encefalogramma sostenuto e godibile, mentre il fondale del disco è toccato da “Could State Souls” che sembra essere una outtake di “Back From The Dead” degli Obituary.
Dei Lowbrow colpisce però il monicker: "La Lowbrow Art, conosciuta anche con il nome di Surrealismo Pop, è un movimento artistico nato alla fine degli anni Settanta nell’area di Los Angeles negli ambienti che ruotano attorno alle riviste di fumetti underground, alla musica punk e ad altre sottoculture californiane" (www.adgblog.it). Nell'Urban Dictionary che si trova in rete rimedio la traduzione: "di natura umile". Che i nostri cinque deathsters intendano dare prova di modestia? Oppure si riferiscano al basso profilo della proposta musicale? Mistero.
Dal sito ufficiale della band si apprende che l'album riesce a vendere 12.000 copie in tutto il mondo, circa un decimo di "Covenant" dei Morbid Angel: vendite sufficienti per pubblicare un seguito nel 2001, ovvero “Sex, Violence, Death”. Successivamente i Lowbrow restano in stand-by ed Allen West torna nei redivivi Obituary per la pubblicazione di “Frozen In Time” nel 2005. E riparte il carrozzone.
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