Domenica 30 settembre 2012.
Ore 6:32.

È già domenica. È solo domenica. Che ne so. Da molti mesi a questa parte non ho la cognizione del tempo, in che giorno siamo in mese siamo che ora sia potrebbe essere anche il 30 febbraio 2013 che non lo saprei. E magari sono le 25:68 di pomeriggio. Me ne frega veramente qualcosa?

È già domenica. È solo domenica. Che ne so. Un giorno uguale a tutti gli altri. Non vado a scuola né ho un lavoro né qualsiasi altro impegno che possa farmene rendere conto. "Everyday is like sunday". Mi sembra che ci fosse qualcuno che cantava qualcosa del genere. Si chiamava Morrisson, tipo, e prima cantava in un gruppo che si chiamava The Smites o qualcosa del genere.

Fra poco andrò a dormire le consuete 2 o 3 ore che dormo ogni mattina. Mi risveglierò, farò un giro per casa, non troverò nessun motivo che mi spinga a restare. Mi accenderò una sigaretta alla fine della quale tornerò sdraiato sul letto nell'oscurità, per ore, a fissare qualcosa che non posso vedere e magari non è neanche più lì. Non è forse questo il pregio del buio?

Ogni giorno lo passo così. E penso. Mi ricordo che una volta non era così.
Dev'essere successo qualcosa. Penso a cosa potrebbe essere successo. Una volta era diverso. Non potevo dire di avere chissà quale motivo per alzarmi dal letto e vivere alla giornata, però ricordo di aver avuto degli amici per i quali mi spingevo ad uscire di casa, pure. Sono spariti e non ricordo perché.
"Feel so sad, so bad today... All our friends have gone away...". Mi ricordo, c'era anche qualcuno che cantava una roba del genere... Forse si chiamavano Cocaine? Siamo lì comunque, sicuramente.
Adesso non vedo il mondo esterno da più di una settimana, non apro neanche le finestre. In camera mia c'è la nebbia, le 20 sigarette (una più una meno) giornaliere si fanno sentire nell'atmosfera. Succedeva anche d'estate, e si condensava in maniera tale da rendere l'aria irrespirabile per quanto calda. C'è da dire che quest'inverno sarà un vantaggio perlomeno.

Forse è sempre stato così, ma non me ne rendevo conto.

Ho conosciuto una ragazza, mesi fa. Sarà stato giugno. Eravamo al tavolo del bar come ogni venerdì sera e una nostra amica ce la presenta, dal nulla.
Ora già non mi ricordo più il suo nome. Forse non l'ho mai saputo. O forse non ci ho mai fatto caso.
Sinceramente all'inizio non m'importava più di tanto, persona più persona meno, che cambiava. Era una delle tante. Una come le tante. Gli altri marpioni ovviamente non hanno perso occasione, invece.
Ed era lì ogni venerdì da quella sera. Ho cominciato a considerarla più o meno alla terza settimana, più che altro per cortesia, ero l'unico a non rivolgerle la parola. L'avevo vista come una delle tante e in effetti era così. Ma che cazzo faccio la parte dello stronzo? E qualche parola dilla, va. Idiota.
Capisco subito che fin dal primo momento era più attratta da me che da tutti gli altri. Con me si esponeva ben di più, si sentiva a suo agio? Credo. Effettivamente aveva poco da spartire con gli altri e non pecco di modestia a dire di essere un minimo più interessante di loro. Quel minimo che basta.
D'altronde lei era nuova a tutti, si parla di stupidi favoritismi a pelle.
Passano le settimane e ogni venerdì era lì. Ogni venerdì che passava si sbilanciava sempre di più. Voleva parlare solo con me, voleva stare solo con me. Ma ovviamente il gruppo era unito, dove c'ero io c'erano gli altri. E questi ancora ci provavano ad avere la sua attenzione. Fatica sprecata; lei diceva al massimo due parole a ciascuno di loro, giusto per non passare per quella stronza. Se qualcuno le faceva una domanda perché non avrebbe dovuto rispondere? Ma una risposta vuota, giusto per formalità.
Tempo sei settimane, sei venerdì, che ormai eravamo una cosa sola. E ormai ci eravamo allontanati dal resto della gente. Solo noi due, nel nostro universo.
La sintonia, l'affinità. Qualcosa mai provato fino a quel momento.
Già qualcosa sentivo, ma era presto per azzardare. Erano quasi due mesi che la conoscevo, ma a conti fatti non era neanche una settimana. Gli sms non contano mica.
Ormai si è fatto agosto. Lei è partita. Tornò quando ero in procinto di partire io. Al ritorno trovai gli altri ad aspettarmi. I primi a sparire. Stavano meglio senza di me, stavano meglio quando non c'ero. Io ero di troppo. Lo sapevo già, alla fine.
Era un venerdì. Era il 21 settembre. Era una settimana fa.
La sera lei sarebbe stata lì, ma non ci sarei stato io. Già da tre settimane che non la vedevo.
L'altroieri l'ho vista per l'ultima volta. Credevo avrebbe potuto risollevarmi una serata, quella che non avrei più potuto passare con gli altri.
Mi illusi e rimasi deluso. In queste settimane in cui ero assente non ha faticato a trovare qualcun'altro, uno più interessante di me. È bastato poco perché finissi relegato in decimo piano. Quello dell'indifferenza; quello della non-esistenza. Io non sarei servito più.
Alla fine era davvero una delle tante. Una come le tante. Una realtà che non avrei mai accettato prima di provarla coi miei occhi.
Per una volta sembrava che a qualcuno importasse davvero. Sembrava...

A ogni delusione reagisco ascoltando un disco che riesca a rispecchiarmi in quello stato d'animo attuale.
"The Going Away Present". Un titolo che rappresenta una realtà immutabile.
Disperazione. Depressione. Rassegnazione. Così va la vita, non ci possiamo fare niente. Ma rimane una vita di merda.
Atmosfere moribonde e slow(core), arpeggi oscuri che sembrano nati dalle lacrime di una sconfitta. Voce che si trascina stanca, quasi svogliata. Voce da loser, voce da sfigato, lo sfigato che potrei essere io. Lo sfigato che sono io.
Urla improvvise che spaccano il mondo a metà, da una prima consapevolezza a qualcosa di nuovo che non avresti mai voluto conoscere. Senso di minaccia. Scream-o.
Crescendo o esplosioni che finiscono rumorosamente in tragedia. Rumore bianco? Rumore rosa? Rumore grigio? Rumore nero. Rumore triste.
Il disco vi lascerà negli undici minuti di Thistrainwillnotstop e la sua sconsolata coda di pianoforte. Pianoforte che ascolterete e vi farà sorgere spontanea una domanda: Perché? Ma è una domanda non mirata, esistenziale. Un Perché rivolto a tutto rivolto a niente. Un Perché rivolto a tutto ciò che non riuscite a spiegarvi nella vostra vita.

"antidotes for the fare-thee-wellhave not helped
only made me ill.
when I shake I want to hold still
but I can't cause I lost my will.
when you said
'yeah I know what is right for you
yeah I know what is right for you
yeah I know what is right for you'
anecdotes of a long goodbye.
no release
so I cannot cry.
now I'm sick fucked up and denied
how I wish that you would not have lied."

 

Adesso sono le 7:32 di quella domenica 30 settembre che non volgerà al termine tanto presto. È passata un'ora esatta.
Andrò a sdraiarmi sul letto nell'oscurità, per ore, a fissare qualcosa che non posso vedere e magari non è neanche più lì.
E penserò ai giorni scorsi, alle settimane scorse, ai mesi scorsi. A ciò che è successo ma sarebbe stato meglio non succedesse.
Con una domanda in testa che non si schioda. Una domanda che mi tormenta. Una domanda a cui non trovo risposta.

"Perché?"

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