Berlino, durante la guerra fredda, una stazione radio trasmette segnali misteriosi... numeri in codice. Era un'altra epoca, non la Berlino di David Bowie, Lou Reed o nemmeno quella di Christiane F. o della techno del Berghain. Era un mondo sull'orlo di una guerra nucleare e, queste stazioni venivano utilizzate dalle diverse potenze in gioco per trasmettere messaggi cifrati.

Sebbene l'utilizzo sia ancora sconosciuto, negli ultimi anni queste sono state riportate alla luce sotto gli occhi degli appassionati da “The Conet Project: Recordings of Shortwave Numbers Stations” pubblicato in 4 cd influenzando a sua volta anche artisti come Boards Of Canada.

Ed è il frammento di una di queste voci ad essere lo spunto iniziale per quest'opera, che forse potremmo definire un concept album.

Il concetto centrale non sono le number station ma la visione e l'immaginario di Luca Giuoco: un mondo opprimente.

L'atmosfera che si respira è quella dell'industrial degli inizi, di Cabaret Voltaire e Clock DVA, lo stesso approccio minimale, la volontà di creare prima di tutto uno stato d'animo e solo in seguito un brano musicale.

Nonostante il disco sia stato realizzato interamente con strumenti virtuali il musicista torinese mostra di conoscere bene i segreti della sintesi e del suono e all'ascolto dei primi due brani sembra quasi di trovarsi di fronte ad una vecchia cassetta dei primi anni '80, ritrovata per miracolo.

L'autore però ha altre intenzioni e il disco si sviluppa anche in altre direzioni come in “Die Glocken” dove la presenza del campionamento da number station inizia a diventare davvero opprimente, mentre la musica assume i tratti da colonna sonora, vicino a certe produzioni dei Tangerine Dream.

E' tramite questo passaggio che il messaggio cifrato, da comunicazione strategica si fa profezia, appunto, Oracolo, e ne “La Sacerdotessa Elettrica” troviamo un altro cambio di scena, ed entriamo in un mondo quasi cyber-punk, vicino ai Clock DVA di “The Hacker” o certe produzioni della KK Records. Il campionamento diviene suono puro, attraverso il processing e la ripetizione, come nell'esperimento sonoro di Alvin Lucier, “I Am Sitting In A Room”, per poi sfociare ne “La Macchina Della Solitudine” dove la battuta si alza, e pure in assenza di cassa techno, si respira l'atmosfera dei rave illegali, la produzione DIY e quella sorta di attitudine cospirazionista (termine che prediligo rispetto al più comune complottista che ha assunto ben altri significati politici e sociali) e punk.

Un unico appunto va all'ascolto in streaming tramite Bandcamp in cui ogni traccia è separata mentre invece originariamente sono state concepite come un continuo e i due secondi di pausa tra un brano e l'altro spezzano l'atmosfera. Peccato che si tratti di un'uscita solo digitale perché non sarebbe stato affatto male avere una versione fisica, anche in un formato semplice ed economico come la cassetta, perfetto per questo genere.

Un nuovo nome da seguire per tutti gli appassionati di elettronica sperimentale, dalla Grey Area italiana che speriamo possa dare presto un seguito alla sua visione.

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