D'accordo, è un genio... nessuno lo può mettere in dubbio. Può piacere come no, ma non si può certamente dire che il grande Ludovico non sia stato uno dei massimi esponenti di quella che viene definita musica classica "romantica". Ora, anche lui, come tanti altri grandi, pensa di scrivere le musiche di un'opera. E lo fa con grande stile ed eleganza, nonchè potenza espressiva inusitate per l'epoca (parliamo dell'inizio del 1800), ma seguendo le tracce dell'opera austriaca. Infatti, il "Fidelio" (Op. 72b), è un "recita cantata" in due atti su libretto di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke. All'epoca era un genere molto apprezzato, sorto soprattuto in Austria, caratterizzato dall'alternanza di parti recitate e parti cantate. A differenza dell'opera italiana, che prevede recitativi cantati, nella recita cantata i recitativi sono perciò recitati, in lingua tedesca, come se fosse una "piece" teatrale in posa. E questo crea non pochi problemi a chi deve musicare questo tipo di opere. Ma Ludovico non è certo uno che si tira indietro. E quindi, prende il libretto dell'opera e crea una delle sue migliori ouverture. In realtà ne produce ben quattro versioni, ma solo la tre lo soddisferà appieno, anche se poi la sostituisce con la quattro, sintetica e brillante, perchè la tre era davvero dalle dimensioni abnormi per una ouverture operistica, tanto da diventare un brano orchestrale a se stante, di una bellezza sconcertante, proprio perchè svincolato dai "paletti" della recita cantata.

La prima rappresentazione fu data il 20 novembre 1805 al Teatro di Vienna diretta da Ignaz von Seyfred.

L'ouverture, preceduta da una introduzione lenta e avvolgente, si apre con un colpo di timpano, cui segue un lento diminuendo che sfocia in un Adagio estremamente complesso, perché presenta una delle caratteristiche più affacinanti della pagina, quella di non puntare su temi fortemente scanditi e definiti, ma che nascono e finiscono in dissolvenze, in un gioco di inseguimenti e dilatazioni che sembra rimandare sempre a una chiara e definitiva affermazione tematica. Sempre nell'introduzione, ecco uno splendido tema suonato dai legni, che è quello dell'aria cantata da Florestano, prigioniero nel sotterraneo, all'inizio del secondo atto. Poi si inseguono splendidamente flauto e violini, contrastati da un coro orchestrale imponente.

Ed ecco che arriva irruente e ritmato, sincopato potremmo dire, l'Allegro, che spazza via l'atmosfera estremamente pensosa dell'introduzione e che viene ripetuto con enfasi drammatica ed esaltante da tutta l'orchestra. Il diversivo negli intrecci ritmici provocati dal ritorno degli elementi del primo tema è riportato dai corni, lirico e ascendente. E ancora il sincopato del primo tema fa da base impressionante a tutto l'andamento dello sviluppo, che viene interrotto per due volte ravvicinate da uno squillo di tromba in lontananza; è lo squillo che, nell'opera, annuncia l'arrivo del ministro e dunque l'improvvisa soluzione della vicenda. Il tema in sincopi viene ripreso e giunge ritorna in primo piano nuovamente in modo più scolpito. Ancora torna il ritorno del tema dell'aria di Florestano già udito nell'introduzione lenta, che ci sorprende perchè attndevamo una chiusura più classica. E qui sta la grandezza di Ludovico... usare la classicità dell'epoca e riproporla, reinterpretarla in una chiave che in divenire sarà la sua "arma" musicale migliore. Ed ecco la coda, che costituisce una ultima ripresa del tema rutilante e sincopato, questa volta però finalmente affermato nella sua pienezza che finora era solo suggerita ma mai conclusa. La chiusura sinfonica e trionfale non lascia dubbi sul significato da attribuirsi alla pagina; quello di un percorso misurato ed eccelso, dalla prigionia verso la libertà, attraverso soterrranei impulsi, spesso negati, che solo nel finale trovano finalmente sfogo.

Imperdibile

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