Siamo da sempre abituati alla rappresentazione di un Beethoven perennemente accigliato, intento a scrutare col suo sguardo intenso e fiammeggiante le dolorose ferite della passione umana. Solitamente dunque si pensa a lui come ad un uomo severo, rigoroso e forse era proprio così. Ciò non toglie che fra le pieghe di questa ricostruzione possano nascondersi altri elementi non meno importanti della sua personalità. Così si potrebbe rimanere parzialmente sorpresi ascoltando queste sue Sonate per Pianoforte (Ecm New Series - 2006), interpretate in modo sublime dal pianista ungherese Andràs Schiff, perché ci mostrano un Beethoven un po' diverso dal solito.
Composte fra il 1788 e il 1800, dunque fra i 18 e i 30 anni del compositore, queste opere hanno il pregio di mettere in luce alcuni tratti non comuni della sua poetica. È qualcosa che non so bene come descrivere, se non parlando di una sorta di innocenza o forse più semplicemente della freschezza di un'ingenuità giovanile, espressa con uno stile - ora elegante, ora galante - che tanto andava di moda nella Vienna di quegli anni. Quando queste composizioni vedono la luce l'impeto Titanico del Beethoven maturo, capace di esaltare il furore del romanticismo, è ancora lontano. Infatti i temi, sovente dolci e cantabili, delineano leggerezza e freschezza. Si prenda ad esempio la limpidezza del tema melodico portante del "Rondo Allegro" della "Sonata No. 19": il pianoforte scorre attraverso atmosfere liete e serene che si svolgono fluide, cantabili richiamando alla mente il puro classicismo degli insegnamenti di Mozart e Haydn. Che, però, Beethoven stesse già raccogliendo dalle mani del secondo lo spirito del primo, così come aveva profetizzato il Conte Waldstein ("Sia lei a ricevere lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn"), queste sonate ce lo ricordano in diversi momenti, mostrando alcuni segni embrionali di un'inquietudine spirituale, che si avverte di tanto in tanto sullo sfondo, quasi in agguato.
Fra la raffinatezza della costruzione pianistica, che Schiff dipana con assoluta maestria, fra l'invenzione, l'innocenza e la leggerezza del naturale incrociarsi dei temi melodici, ecco allora affiorare spunti malinconicamente romantici, che si affacciano a volte timidamente, altre volte con maggiore decisione, facendoci intravedere l'anima irrequieta del suo autore. Come ad esempio nel colpo secco sulla tastiera che divide in due l'"Allegro, ma non troppo" della "Sonata No. 20". Un piccolo sussulto al cuore, un accento tipico del colore musicale Beethoveniano. Un sentimento simile affiora poi nel "Minuetto" seguente, che per poco più di tre minuti si svolge lezioso, sottolineando solo nel finale una flebile, sottilissima, trasparente malinconia quasi a smorzare tutta la leggerezza della sonata. O ancora in modo analogo nella misurata frenesia del "Rondo. Allegro comodo" della "Sonata No. 9". Pennellate isolate, ma non casuali e molto significative nella loro forza.
Si avverte così che allora Beethoven stava già metabolizzando l'esperienza del classicismo per trasformarla e arricchirla con la sua anima, grazie anche a un lavoro improbo, costante, assiduo, giornaliero che lo portava a passare ore e ore al pianoforte. Così si comprende meglio che la sua musica si è progressivamente evoluta attraverso un continuo lavoro di costruzione e decostruzione delle forme classiche, un lavoro arricchito e non costituito dall'ispirazione. Ed essendo il pianoforte l'elemento centrale della sua musica, è proprio l'ascolto delle Sonate che ci consente di apprezzare la misura del suo genio e comprendere come si sia evoluto lungo l'arco della sua esistenza terrena, per giungere infine a dare nuova linfa vitale alla scrittura pianistica. Sotto questo profilo il lavoro di Schiff, dedicato all'esecuzione integrale delle 32 sonate per pianoforte e giunto oggi al terzo volume, può apparire esemplare. Il maestro ungherese ha dimostrato con il suo pianismo molto espressivo di avere i mezzi e la maturità per affrontare questo itinerario artistico, che si concluderà nei prossimi due anni con l'incredibile "Sonata n. 32 op. 111". Il mio consiglio è di seguirlo passo dopo passo in questo difficile percorso che ci consentirà di conoscere ed amare ogni sottile sfumatura di queste opere indispensabili, meravigliose e immortali.
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