Il titolo Della donna aracnide potrebbe richiamare alla mente, per chi lo conosce, il racconto Il ragno di Hanns Heinz Ewers, citato esplicitamente dall’autore nel libro. Tuttavia, mentre Ewers costruisce il suo orrore sull’ambiguità e sulla manipolazione psicologica esercitata da una figura femminile enigmatica, Musolino sposta l’attenzione su un orrore più vicino e tangibile: quello radicato nella realtà quotidiana, fatto di solitudine, incomprensioni e conflitti familiari.
Nel 1992, Filippo e Martina, due bambini intrappolati nella monotonia della provincia, attendono con impazienza la festa del patrono e l’arrivo delle giostre. Ma quando in piazza compare un misterioso baraccone con l’insegna “La Donna Aracnide”, la loro curiosità li trascina verso un mondo più oscuro di quanto avessero immaginato. La figura di Serafina, la donna-ragno, si rivela una potente metafora della disperazione e dei desideri repressi che tormentano i protagonisti, ma l’orrore che affrontano non è soprannaturale: è ancorato alla realtà familiare che li circonda.
Musolino tratteggia con maestria un ambiente familiare in frantumi, dove i legami sono logori e la comunicazione spezzata. L’orrore vero non risiede in mostri o creature mitologiche, ma nelle dinamiche interne, che imprigionano i protagonisti in una rete di sofferenza emotiva e solitudine. Il dramma si sviluppa in un’atmosfera densa di tensione, evocata attraverso una scrittura incisiva che intreccia la metafora della ragnatela con i temi del trauma e del passato. Non si tratta di ragnatele visibili, ma di vincoli emotivi invisibili, che intrappolano i protagonisti in un presente da cui è difficile fuggire.
L’approccio di Musolino ricorda, per certi versi, It di Stephen King, dove la paura affrontata dai giovani protagonisti non è solo quella di un’entità mostruosa, ma anche quella legata al fallimento del mondo adulto. Tuttavia, l’orrore di Della donna aracnide è ancor più intimista: non c’è un Pennywise a catalizzare la paura, ma un microcosmo familiare soffocante che rappresenta una trappola emotiva ed esistenziale.
Per i lettori più stagionati, il romanzo offre anche un tuffo nel passato: il 1992, un’epoca segnata dall’attesa per le feste patronali, i baracconi delle giostre e una colonna sonora che sembra risuonare ancora oggi. La citazione ricorrente di Hanno ucciso l’uomo ragno degli 883, emblema musicale di quegli anni, non è solo un richiamo nostalgico, ma anche un contrappunto simbolico: la leggerezza del brano si scontra ironicamente con il peso emotivo della storia, aggiungendo uno strato di riflessione per chi ricorda quell’epoca.
Della donna aracnide è un romanzo che scava nei recessi più oscuri dell’animo umano, esplorando un orrore che nasce dentro di noi, non fuori. Con una scrittura intensa e uno sguardo disilluso sulla realtà, Musolino invita il lettore a riflettere sull’inquietudine quotidiana, sulla fragilità dei legami familiari e sulla nostalgia di un passato che non era affatto più semplice, ma certamente diverso. Un’opera capace di lasciare il segno, mostrando come la normalità possa nascondere il suo lato più inquietante.
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