Che importa che domani debba affrontare un rigido test d’ingresso per una facoltà a numero chiuso? Ho appena elaborato un giudizio su questo disco e di certo il Brutal viene prima di un anno della mia vita… ”O Muse, o alto ingegno, or m’aiutate…"

I Lust Of Decay sono molto difficili da collocare temporalmente visto che hanno visto la luce nel 1996 ma non hanno pubblicato nulla fino al 2000: questo fa sì che risentano ancora delle influenze dei gruppi della seconda generazione di Brutal Death (quelli esplosi nella metà dei ’90 come Cryptopsy, Deeds Of Flesh etc) ma che inizino a guardare avanti alla stregua delle band dell’ultima ora. Il loro stile si compone di questi due inscindibili elementi, i “mores” tradizionali del Death Metal e la spinta a radicalizzare il sound tipico di quest’ultimo periodo. I canoni non vengono assolutamente stravolti né è riservato spazio alla contaminazione ma il prodotto nell’insieme suona come qualcosa di assolutamente nuovo e frizzante.

Questi cinque tizi vengono dalla Carolina, angolo degli Stati Uniti non certo famoso per il suo contributo nel panorama del metal estremo. Le ragioni topografiche e un destino decisamente avverso (ripetute entrate e dipartite di nuovi membri) hanno contribuito non poco al tardo debutto della band, avvenuto su un Lp dal titolo “Infesting The Exhumed” solo nel 2002. “Kingdom Of Corpses” è la loro seconda prova e risale al 2004; la band, rispetto all’esordio, si dimostra nettamente cresciuta e regala ai fan del Brutal Death più oltranzista un vero e proprio gioiellino. Tra i protagonisti di questo album c’è sicuramente una tecnica strumentale eccellente, attribuibile in particolar modo ad un batterista formidabile per quanto anonimo. Ma l'altro grande personaggio che co-domina con la perizia è l’impatto, degno dei migliori lavori dei migliori gruppi del passato. Questo cd, lungo tuta la sua durata, preferisce dare spazio alle sensazioni immediate piuttosto che a ragionati colpi emotivi e riesce in maniera incomparabile a generare una carica incontenibile. Niente sofisticherie strane, niente oceanici nichilismi, solo una fisicità instabile e rabbiosa, una bestia chiusa in gabbia e digiuna da giorni.

Il poco spazio riservato al sentimento è quindi completamente compensato da questa tendenza all’ipercinesi ed all’istinto, confermata da una produzione essenziale ma curata. O questo per lo meno è il primo livello di ascolto. Esiste infatti anche un secondo livello di ascolto; in questo album può trovare di che nutrirsi sia chi cerca la trasposizione in note di un raptus distruttivo, sia chi desideri mettere alla prova il proprio orecchio con delle prestazioni strumentali sopra le righe. A dispetto di quanto si potrebbe immaginare nel leggere che è un disco molto vigoroso, l’esecuzione non è sacrificata sull’altare della potenza e, allenandosi un po’, si possono scoprire le segrete meraviglie di “Kingdom Of Corpses”.

Il Drumming, che sulle prime sembrerebbe portare avanti quello che hanno fatto anni fa i maestri del Death, si rivela un mosaico di tempi dispari, accelerazioni, improvvisi stop, rari rallentamenti: soprattutto il nostro lascia che non sia la pedante esecuzione di tempi stereotipati a costituire la sezione ritmica delle dieci canzoni, bensì le sue personali invenzioni dietro alle pelli e dicendo questo faccio riferimento alle sue pressoché ininterrotte rullate e ai suoi lesti cambi. Naturalmente la sua bravura fa ricadere sui suoi compagni l’onere di essere all’altezza e, c’è da dirlo, non falliscono; entrambi i chitarristi seguono sfacciati le evoluzioni del batterista con un riffing altrettanto complicato, vario e perfettamente collimante.Discorso a parte invece per il bassista, il più progressista della band, che in due o tre episodi si lascia “sfuggire” qualche stacco dal vago sapore jazz (e mi sembra che questo dica tutto sulle sue doti). Leggermente sottotono, ma comunque discreta, la prestazione del cantante; il growling è molto longevo e profondo ma necessiterebbe di più verve e soprattutto più motilità. Non basta però questa piccola sbavatura a fare scendere il voto di “Kingdom Of Corpses”, un disco all’altezza di tanti altri sui quali piovono riconoscimenti in misura maggiore.

I Lust Of Decay fanno sapere al mondo che il Brutal Death è ancora in buona forma e non ha bisogno di tante cure o attenzioni raffinate per stare sulle proprie gambe e consegnare la sua buona dose di violenza sonora.

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