Il principio era il Verbo, e il Verbo venne corrotto e smembrato da Lustmord perchè il Caos esplodesse dalle viscere della Terra e la Musica divenisse antitesi e Summa Divisio.

Tante volte ho cercato di definire Lustmord, o se non altro il suo modo di concepire quello che la gente di solito chiama musica. Il problema, tuttavia, sta nel fatto che la sua non è musica tout court: meglio considerarla come manifestazione arcana del buio in tutte le sue forme, che sia distante e siderale, od angusto e strisciante, altresì grave e sottomarino.

Lustmord è l’enciclopedia dell’oscurità eHeresy (1990), secondo lavoro in studio, è la chiave di lettura di ogni (capo)lavoro a venire, e non solo. Nella mia incapacità di definire quest’uomo (ammesso che lo sia), quindi, lascio la parola a Heresy.

Tralasciando a questo punto i dettagli sul singolare ed atipico Paradise Disowned (1984), primo studio album che probabilmente recensirò, il disco in questione racchiude al cento per cento il potere di Brian Williams: è in poche parole la quintessenza della sua arte, perchè anticipa ed allo stesso tempo concentra le caratteristiche di tutti i capitoli successivi, i quali non sono altro che la sua progenie maledetta.

Heresy è il puzzle completo, il quadro perfetto ed immacolato che poi Lustmord col tempo ha smantellato pezzo per pezzo negli album successivi, scindendo ogni caratteristica dal complesso per donarle una nuova vitalità ed autonomia dal resto dell’operato.

Basterebbe prendere album come Carbon/Core”, “Purifying Fire”, “Juggernaut”, “OTHER” (insomma tutti gli altri) e mescolarli per ottenere Heresy: il risultato è uno straordinario brodo primordiale mutaforma che si scuote in silenzio, si placa e si dimena, ruggisce e poi ammutolisce e ancora ribolle sordamente come un vulcano inferocito. All’ombra di un cielo ferito e malato, questo magma incandescente striscia lento corrodendo ogni ostacolo con efferatezza primitiva e bestiale. E non ci sarà scampo per nessuno.

Ecco ciò che rende Heresy unico rispetto a tutti gli altri episodi, e cioè il fatto che esso manchi della perfezione artificiale che ben congegnerà parecchi dischi futuri, architettati e cesellati con precisione disumana. Heresy non è niente di tutto ciò: si plasma e si evolve da solo, istintivo e selvaggio, cresce imprevedibile e si avviluppa senza schemi, è mostruoso, è contorto, è malvagio; fa paura. È l’epitome dell’oscurità e dell’orrore universali.

Inutile cercare di studiarlo nel dettaglio, dato che Heresy è un’unica suite di oltre un’ora divisa in sei episodi senza nome, che poco fanno se non cercare di suddividere in inutili ‘paragrafi’ un colosso che non conosce ordine e che andrebbe vissuto senza nessun punto di riferimento, gettandosi a capofitto nell’abisso. Dal primo all’ultimo minuto, Lustmord lascia che la musica si costruisca da sè e che incarni non le sue idee, ma lui stesso. Perchè Heresy È Lustmord, la sua ombra demoniaca in tutta la sua grandezza. Tutto il resto non esiste.

Il Verbo tacque, l'ombra ghermì la luce e la strangolò, disordine ed armonia si sciolsero l'uno nell'altra, cenere e lapilli piovvero da un cielo rosso cremisi, un torrido silenzio congelò ogni cosa. E le fauci della Terra si spalancarono in un grido senza tempo.

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