Tre anni dopo quel "Wounded Rhymes" che l'ha fatta conoscere al mondo, con tanto di tormentone spacca-classifiche (e coglioni) "I Follow Rivers", la cantautrice svedese Lykke Li si affaccia nuovamente nel panorama dell'indie-pop mondiale con un album che, ancora una volta, ci presenta nuove sfaccettature della sua multiforme personalità artistica. Così, dopo il timido esordio "Youth Novel" e l'esplosione di suoni e percussioni del secondo lavoro, con "I Never Learn" la ragazza apporta alle sue composizioni delle significative evoluzioni in termini di sound, che si traducono in un disco più compatto dei precedenti, caratterizzato da un'atmosfera crepuscolare e privo, questa volta, di qualsiasi occhio di riguardo per le classifiche.

Certo, sono comunque presenti pezzi dal piglio orecchiabile, ma a livelli decisamente diversi dalla già citata "I Follow Rivers" o "Sadness is A Blessing", tanto che anche quando i ritornelli dei brani si fanno incisivi risultano essere tutt'altro che radiofonici o pensati per essere colti anche dagli ascoltatori più distratti, anche perché sarebbe un peccato limitare quest'album a mero sottofondo da mettere nel lettore CD mentre si fa altro. "I Never Learn" è infatti come un fiume di emozioni rischiarate dalla luce della Luna: bisogna ascoltarlo bene per poterne cogliere tutte le sfumature, ci si deve sprofondare dentro e lasciarsi trasportare dalle sue melodie e dalle sue atmosfere oniriche, messe in evidenza già a partire dalla title-track, che apre il disco a suon di chitarra e archi, e presenti durante tutto l'album, a volte musicate da azzeccate linee di piano sorrette da percussioni tribali ("No Rest For the Wicked", "Sleeping Alone", "Just Like a Dream") altre da gentili accenni di elettronica (la sommessa "Silver Line" e la più imponente "Gunshot"), passando poi per eleganti parentesi acustiche ("Love Me Like I'm Not Made of Stone") e concedendosi addirittura qualche accenno al gospel ("Heart of Steel"). La cosa sorprendente poi è che, nonostante la varietà di direzioni prese all'interno di un solo album, il tutto risulta decisamente omogeneo e compatto, ma non per questo monotono, merito in parte della produzione, in parte della capacità della stessa Lykke Li di destreggiarsi abilmente tra più generi e influenze musicali senza essere dispersiva e mantenendo una personalità propria e ben definita, a metà tra i sapori ancestrali di Bat For Lashes e quelli più pop dei Florence + The Machine, e senza essere troppo pretenziosa.

Insomma, "I Never Learn" è una promozione più che meritata per un'artista onesta che, pur non disdegnando melodie tipicamente pop, si dimostra capace di dare vita a composizioni affascinanti e particolari, in grado di soddisfare chi cerca musica non troppo cerebrale, ma si tiene alla larga dalla sbobba rifilataci troppo spesso dalle radio.


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