Con "Finisterra" del 2000 gli spagnoli Mago De Oz mi avevano stregato. La loro miscela di metal intriso di epic, power e inserti folk mi aveva conquistato sin dal primo ascolto, grazie a brani coinvolgenti, incalzanti, e a ballate sognanti e atmosferiche, arricchite da un cantato in lingua madre che non credevo essere così melodico e accattivate. Logico che mi aspettassi grandi cose da questo "La Ciudad De Los Arboles", e ahimé, le mie aspettative si sono, in gran parte, dissolte col passare degli ascolti.

Gli ingredienti in fondo sono quelli, la band c'è e è riconoscibilissima, con quei suoi riff chitarristici di chiara scuola heavy classica e dall'incedere epico, gli strumenti "folk" ancora presenti (flauto e violino su tutti), la sezione ritmica perfetta e a tratti impazzita nell'imprimere velocità ai pezzi, la voce di Jose, come sempre limpida e a tratti veramente acuta, eppure manca qualcosa, manca una certa originalità di fondo. Pare che i nostri abbiano messo assieme quasi più una raccolta di "B-Sides" di "Finisterra" che aver composto un nuovo disco: tale è infatti la sensazione nell'ascoltare le tracce, aspettando quel guizzo in più, quella sferzata che non ti aspetti così importante e presente nel sopraccitato doppio album. I nostri, salvo alcuni momenti, si adagiano un po', riciclandosi (con classe, va detto), riprendendo melodie già sentite e sfociando in clichè heavy metal vecchio stampo che secondo me avrebbero potuto risparmiarsi. Questa è la sensazione da me provata ascoltando per esempio "Mi Nombre Es Rock & Roll", un pezzo tipicamente anni Ottanta sia nelle ritmiche che nelle liriche. Ora va precisato che i nostri giocano molto con la loro attitudine "cazzara", e forse in questa chiave il brano ha un suo perché... Ciò nonostante continuo a passare oltre tutte le volte che è il suo momento nel disco.

E dire che tutto sommato si inizia anche bene: la title track convince sin dal primo ascolto, grazie al suo grandioso ritornello e a una struttura molto varia e coinvolgente.

"El Rincón De Los Sentidos" si lascia apprezzare almeno sino al ritornello (che a somme linee soffre dello stesso problema già visto con "Mi Nombre Es Rock & Roll"), mentre risollevano momentaneamente il tutto "La Canción De Los Deseos" e soprattutto "Y Ahora Voy A Salir", divertentissima traccia che esalta l'allegria e il lato popolare (quasi da festa in collina con il vino che scorre a fiumi) dei Mago.

Dopo "Runa Llena" (strumentale incalzante che mostra tutta la tecnica della band) e il più che apprezzabile "Resacosix En La Barra" (riadattamento di "39" dei Queen) si arriva all'unica ballata del disco, "Sin Tí, Sería Silenzio": tutto sommato buona, anche se, nuovamente, sa un po' di già sentito.

Cito per finire "Si Molesto Me Quedo", un bel pezzo sicuramente più lento di altri sentiti finora (per esempio della track list), ma da annoverare come uno dei migliori di tutto il disco, per una certa forza e passione che trasudano, qui finalmente, dalle melodie suonate dagli spagnoli.

Tredici brani totali, appena sei buoni (solo un paio sopra la media), un po' poco comunque per una band che era riuscita a sfornare addirittura un doppio che non zoppicava neppure una volta. I Mago De Oz restano senza dubbio una realtà interessantissima del panorama metal spagnolo (e più in generale e nel loro genere, un gruppo veramente valido in Europa), ma stavolta falliscono (non di tanto comunque) il bersaglio. Il disco si lascia ascoltare tranquillamente, lo canticchierete talvolta, ma se volete qualcosa che vi rimanga, qualcosa che, ne sono certo, riprenderete anche dopo innumerevoli ascolti, puntate a occhi chiusi su "Finisterra", che seppur precedente a questo di sette anni, suona di gran lunga più fresco e accattivante.

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