La mia conoscenza con questo libro si deve – lo ammetto – esclusivamente ad una curiosità estetica mossa dalla copertina. E' stato grazie a questa scelta scriteriata e impulsiva che ho potuto leggere un romanzo prezioso e speciale.

La storia è molto semplice, riassumibile in poche mosse; una scrittrice alle prese coi primi successi e una vecchia signora, Emerec, che le fa da domestica. Attorno, una cittadina ungherese fotografata nel primo post guerra, piccoli personaggi di paese, la vicina, il medico, il portiere, il poliziotto. Magda Szabò descrive la relazione che per oltre vent'anni lega le due donne, i segreti che l'una nasconde all'altra, la frequentazione reciproca che diventa via via dipendenza, l'impossibilità della comunicazione. Scrittrice e domestica simboleggiano vite opposte e differenti in cui la fede dell'una si scontra con il rifiuto del divino dell'altra, la passione politica con la diffidenza e il sospetto verso “tutti quei fogli di carta”, il lavoro intellettuale con l'attività fisica frenetica e incessante. E nonostante questo ritratto, Emerec conduce inconsapevolmente una vita all'insegna della pietas cristiana poiché ha compassione per tutta quella classe di sconfitti ed emarginati, dai miseri, agli abbandonati fino ai criminali, di cui non riconosce né la giubba militare né la nazione per la quale combattono. La sua avversione verso il potere, declinato in tutte le forme, è globale e senza deterrenti. Esercita l'amore in modo così profondo da diventare quasi violento, ama la scrittrice attraverso azioni contorte talvolta contraddittorie alle quali soggiace una logica ferrea e rigida. L'occupazione principale della sua vita è data dal lavoro e dalla fatica. Emerec non si riposa, quando non è indaffarata a governare la casa dell'autrice, la si vede “sviettare” per la città portando vassoi colmi di cibo, spalare la nave lungo la strada del paese o lavare panni in catini ardenti. Ed è lei a dettare il ritmo e la qualità del rapporto con l'autrice, fatto di litigi e riconciliazioni, di rancori soffocati e di affetto materno. Una porta separa questi sentimenti, così come separa i mondi delle due donne, concedendo di tanto in tanto la possibilità di sbirciare dentro e vedere di sfuggita tasselli del passato della vecchia; racconti di guerra, di figli perduti, di amori uccisi, la distruzione portata dal nazismo, le fughe. E quando questa porta, dietro cui Emerec gelosamente si nasconde, viene forzata dalla scrittrice timorosa per le condizioni di salute della vecchia, il sottile equilibrio fra le due si spezza, il mondo della domestica, fino ad allora rispettato e elogiato dalla comunità, viene esposto agli occhi di ognuno, la sua vita dalla condotta irreprensibile è votata all'istante alla dissoluzione.

Nel libro si avverte in modo netto l'influenza dei romanzi russi, in particolare di Dostoevskij; un pesante senso di colpa e di rimorso è il motore che spinge l'autrice, raggiunto ormai il successo, a guardarsi indietro, ripercorrere mentalmente i giorni di quel rapporto. Ad Hermann Hesse il merito di aver portato in Occidente la scrittrice ungherese e a lui la lungimiranza dell'aver consigliato “leggete tutti i libri di Magda Szabò, quelli scritti e quelli che dovrà ancora scrivere”.

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