The U.S. vs. John Lennon

Presentato al mondo con uno sforzo mediatico ed economico senza precedenti (Selezione al Festival di Venezia, Festival di Toronto e Festival di Londra; titoli entusiasti su tutti i giornali; "Straordinario!” per il Times) “The U.S. vs. John Lennon” si introduce con una citazione di Yoko Ono: “Di tutti i documentari girati su John, questo è l’unico che avrebbe amato”. Si fa presto a capire il perchè: nel film dei fratelli Scheinfeld, John Lennon pare assomigliare più ad una sorta di Santo nell’ennesima leccata post-mortem (Ribelle=Bene, Governo=Male), piuttosto che ad un viziato e scontroso ragazzo con troppi soldi per salvare le mie chiappe, quando l’unica cosa che m’è sembrata di capire, arrivato stremato al termine di 90 minuti francamente insopportabili, è che nell’eterna lotta tra il bene ed il male non ho mai realmente sopportato nessuno dei due: di menzogne ve ne sono milioni ma la verità si vende al miglior offerente, se ve ne esitono più di una.
Eppure a sentire il Daily Telegraph, “Lennon ne emerge come la figura più forte dell’anno cinematografico”, ovviamente sorvolando alcune delle sue ipocrite acrobazie, come se fosse sufficiente esprimersi in forbite metafore per ergersi a paladino dei giusti.
Tra la verità dei finti rivoluzionari e la menzogna dei veri reazionari, avessi avuto i suoi miliardi mi sarei comprato il miglior offerente prima di tirare le cuoia: è proprio per questo che mi si vede tutti i giorni correre a perdifiato rincorso dall'ineluttabilità del destino; proprio per questo non è difficile trovarmi in un angolo in un attacco epilettico di toccata di palle: è perchè dopo aver assistito a 45 milioni di leccate di culo post-mortem, l'unica paura che m'è rimasta è di finirci dentro prima della rivoluzione.


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