Gli Oscar 2006
Miglior Film. Ho deciso finalmente di vedere “The Departed”, se non altro convinto dalla prevedibile consegna delle statuette. Sono sempre dell’idea che Scorsese sia un buon regista con un talento particolare nel saper scegliere gli attori: quelli di “The Departed” formano un cast stellare, buono appunto per la nomination come Best Picture, ma sono lontani gli anni del cinema puro e ingenuo, De Niro che diceva “I got no choice!” con l'accento di mio padre, e bastava questo per mettermi a piangere. Due ore di dialoghi serrati e Scorsese si salva solo grazie al colpo di scena finale: vincerà comunque (molto più bello “Babel”, dell’ottimo Alejandro Inarritu, quello per intenderci di “21 grams” e “Amores Perros”, che nell’ultima fatica fa tutto da solo e pure molto bene: perderà comunque).
Miglior attore/attrice. Praticamente un trionfo del trash questa edizione, se si toglie l’unica nomination decente: il surreale e tirannico Forest Whitaker di “The Last King Of Scotland”, per il quale la critica ha finalmente fatto il suo dovere, e cioè incensare senza scadere nel patetico. Non vincerà comunque, in quella che si prospetta una battaglia da togliere il respiro: Eddy Murphy contro Will Smith. Se è vero che il cinema delinea i movimenti sociali, mi pare di capire che quest’anno gli irlandesi resteranno morti di fame, gli africani si stermineranno e i neri ci faranno ridere per forza: c’è da scoprire che fine abbiano fatto i mafiosi.
Miglior regista. Vincerà Paul Greengrass, uno che ha provato a convincermi a spendere dieci sterline per il terzo film consecutivo sul disastro dell’11 settembre, e di decidere se credergli (l’aereo United 93 si schiantò su Shanksville per mano terrorista) o restare fedele alle mie impressioni (l’aereo si schiantò su Shanksville per mano aliena). C’è da scoprire solo che fine abbia fatto l’aereo, ma aspetto che facciano ancora un’altra decina di film, e poi mi faccio influenzare dalle sottigliezze.
Migliore sceneggiatura. Il titolo è “Borat”, e lui Sacha Baron Cohen; la storia quella di un Kazaco, e il senso quello di capire il sogno Americano sapendo come uniche parole d’inglese “I like you, do you like me?”. Non lo so chi vincerà, ma di sicuro non il mio film dell’anno, di cui però mi hanno dato la soddisfazione della nomina, sebbene sia l’unico film senza alcuna ombra di sceneggiatura.