Album grigi e tempi neri

Sono dunque trascorsi tre anni dalla pubblicazione clandestina del "Grey Album" (fusione parecchio ardita delle musiche del "White Album" con le liriche del "Black Album" di Jay-Z) e nelle alte sfere EMI il terreno sotto i piedi continua a tremare. Non che Danger Mouse sia ragazzo così talentuoso (la sua idea è risultata originale solo sulla carta) ma si calcola che le copie oramai in circolazione tramite il Web siano centinaia di migliaia, a scavalcare le spinose mura costruite sul copyright e sull'arroganza delle majors (alla EMI il catalogo Beatles è considerato una gallina dalle uova d'oro e dunque sacro), che predicano bene e raccolgono pure meglio.
Il terzo anniversario del "Grey Album" sancisce, in un'epoca di confusione, isteria d'intenti e repressione, l'inizio di una nuova era di cui però non se ne possono intravedere gli sviluppi. Ci stiamo avviando verso la scomparsa dei diritti d'autore così come li conosciamo? Ed è vero - come sentenzia "Entertainment weekly" - che internet è un gigante oramai pronto a divorare un sistema fatto di regole impazzite? Avrà ancora senso - nel futuro più immediato - parlare di supporto fisico per la musica? Io continuo a non capirci nulla e in questa guerra tra il bene ed il male non ho ancora inteso dove sia da distinguere quest'ultimo.
Intanto (che alla EMI piaccia oppure no) il Grey Album continua a viaggiare nei processori di tutto il mondo, e anche se a me era sembrato un qualcosa francamente inutile, non possiamo non ricordare di come (purtroppo) le più grandi rivoluzioni siano raramente nate da ottime menti, e in nessuna delle due cose ci credo ormai più.


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