Le caste
La casta dei giornalisti.
Per arrivare all'indice del'inserto "D" di "Repubblica" bisogna sfogliare 41 pagine di pubblicità ininterrotta, per un totale di centodue gnocche di un altro pianeta e duemila schiavi cinesi. Per scoprire chi dirige la boutique di Repubblica e soprattutto la concessionaria per la pubblicità sfogliamo altre 6 pagine per un totale di dodici gnocche e sessantadue visoni scuoiati vivi. Finalmente, quando oramai sfiduciati immaginiamo di arrivare così alla pubblicità di quarta di copertina o quella della fine del mondo, ecco che a pagina 59 troviamo nientemeno che una denuncia sociale sotto forma di articolo giornalistico. Titolo: "Viviamo una crisi dello spazio pubblico: commercializzato, privatizzato. Trasformato in parco a tema". Vengo assalito da uno spaventoso attacco di panico e butto via 362 pagine di pubblicità della crisi, mentre per sfuggire a tutto questo mi sforzo di capire in che cesso sono finito a leggere.
La casta degli artisti.
L'opera di Nathan Coley è un allestimento piuttosto semplice con la scritta "Non ci sarà nessun miracolo qui". Siccome sono ateo ero partito parecchio prevenuto: dopo averlo provocato coi miei ideali per due ore di fila in effetti tranne che nel conto in banca non si è mosso niente. Tra i visitatori ho intravisto un palestinese con la barba, solitario e parecchio sospettoso, col fiato sul collo da parte del Servizio Segreto Israeliano - ma è passato subito all'opera successiva.
Quella di Mark Wallinger (in mostra al prestigioso Turner Price) è un filmato in cui agisce come un demente vestito da orso. Credo che Mark non ci stia prendendo in giro e abbia davvero messo il cuore nella sua prestazione, sebbene non sia molto chiaro se voglia fare l'artista o il demente, e non tutte e due le cose a seconda di quale tipo di visitatore consumerà la prossima visione. Alla fine risulta così politicamente corretto come solo può esserlo una galleria d'arte per businessmen gay catto-comunisti, nell'istante in cui arriva Dio e li fa saltare tutti per aria.
La casta politica.
Il cuoco di Palazzo Chigi, Alessandro Schiavone, infastidito dai commenti fuori luogo sulla qualità del cibo, si alzò di colpo e sbottò: "Non accetto lezioni". Dal gradino più alto a quello più basso la casta italiana è la più arrogante di tutte. Non solo ci costa 3400 milioni di euro all'anno per voli di stato, immobili, puttane e droga di qualità; non solo riceve 300 volte il denaro destinato alla fame nel mondo; ma apre la bocca con una smorfia di stupore, come se qualcuno dei presenti si fosse fermato ad aspettare un miracolo. Mi ricorda la battuta di Crozza: la differenza tra un politico e tuo figlio è che il primo non fa niente, si droga e lo devi mantenere fino a 80 anni; l'altro è sangue del tuo sangue.
Che speranza può avere una nazione dove per spartire un po' di poltrone hanno inventato le comunità montane al livello del mare? Che speranza può avere un siciliano, se per costringerlo a sentirsi male sprecano 8000 miliardi di euro per la sanità pubblica, mentre potrebbero usare la terapia del sorriso di Patch Adams e affidarla a Totò Cuffaro, che fa ridere più di Totò?