Sono un patafisico
Il punto di partenza è che nel VII secolo a.C. in Grecia ci si occupava del transeunto, ed era una bella sfida a chi le sparava più grosse sull'archè, l'origine dell'esistente, giacché la sostanza del discorso era cercare il perché e non il come. Nell'abbrutimento più collerico sorgeva la metafisica, e con essa i guai patenti dell'uomo che non voleva più saperne di farsi i cazzi suoi. La filosofia dell'ultrasensibile è lo sguardo affogato nel cielo di un Anassimandro intento a capire la meccanica divina degli astri, non il bel vaneggiare di chi, come Anassagora, vede nella dea luna una palla rocciosa nemmeno tanto
ospitale: guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo, ché a beccarsi un anatema occorre davvero poco.
Oggi mi conviene guardare a terra, e tra l'altro si scoprono cose anche più interessanti. Per esempio, si scopre che per più di un paio di millenni si è sprecato anche troppo tempo per occuparci della rosa dei venti, mentre era cosa più savia realizzare nodi ferroviari meglio attrezzati: Alfred Jarry, uno dei pochi scrittori che vale la pena ricordare
senza che qualcuno l'abbia fatto prima, si è dilettato in quella che lui ha chiamato patafisica, la scienza delle soluzioni immaginarie. Fin qui tutto anormale, dato che sfugge il nesso con quanto finora scritto, ma ciò che si intuisce è che un nesso tra metafisica e patafisica deve esserci.
Detto fatto: giacché nell'opera di Jarry è impossibile realizzare un'analisi di senso compiuto, mi basta capire che la patafisica sta al di là della metafisica, che a sua volta
sta al di là della fisica. Ora il punto è: la patafisica sta al di là, ma dove sta? E' un bel ragionare di tutto e niente, dato che nel momento stesso in cui vi diamo una connotazione trascendente dovrà essere inclusa nella metafisica, mentre se la qualifichiamo nell'immanente sarà di questo mondo fisico. Forse il novecento è un secolo troppo canuto per chiedersi i perché dei presocratici: la cosa migliore da farsi è rimanere dove si è e acquisire il metodo, comprendere che la forza segreta della patafisica è l'eccezione, lo straordinario, l'evento.
Ammettiamo di lanciare un dado dieci, cento, mille volte. A Kolmogorov sarebbe interessato di più capire che dopo un certo numero di tentativi la probabilità di beccare una delle sei facce si assestava su 1/6, mentre a noi interessa capire quante volte rotolerà il dado, dove si fermerà, in quale posizione. Ogni volta che fai un esperimento sei un patafisico, perché non è il risultato matematico quello che ti interessa, giacché la matematica è del mondo fisico, ma l'evento straordinario legato all'irripetibilità dell'evento. Sono un patafisico quando mangio, tracanno, rutto. Sono un patafisico perché
un rutto non è mai uguale a un altro rutto. Sono un patafisico perché ho il potere di inventare soluzioni immaginarie.
Un bel ragionare di tutto e niente, finalmente, senza più remore: quando solo e invecchiato sul più scosceso dei letti di gramigna guarderò i cieli di Anassimandro e Anassagora, sarò per l'ultima volta patafisico.