La dottrina dell'Infinito


C'era un tempo felice in cui tutto e nulla compenetravano, tempi lieti in cui, al limitar di gioventù, le certezze migliori si conseguivano sugli abbecedari; nelle ore più nescienti del mio male di crescere una sola era la certezza: la matematica si era ravveduta dinanzi ai miei occhi denunciando i propri limiti. Non era possibile, in quei giorni, capire le ragioni delle radici quadrate, sicché era dato per certo che se c'era qualcosa che la scienza non poteva spiegare quella era l'operazione di radice di un numero non positivo. Ora si dà per beninteso che i tempi cambiano, e con essi la stabilità: esiste il dominio complesso, e in esso ha senso calcolare la radice di un negativo. Puttana matematica, ti svenderesti dinanzi a chiunque pur di racimolare un obolo.


L'unità immaginaria è la costante più incompleta della matematica moderna. Non ha un valore, non ha un senso, ma compare e scompare puntualmente nei conti delle correnti dei circuiti elettronici. L'unità immaginaria non ha rappresentazione che piaccia agli analitici, poiché attribuirvi il fittizio valore di radice di meno uno dà l'orticaria ai puristi della letteratura. Gioca un ruolo determinante nel paradosso dei paradossi che compare col nome di "Identità di Eulero"; le cinque costanti più problematiche della matematica radunate in una relazione indissolubile a proposito della quale Benjamin Peirce dimostra ammirazione e stupore: "Non possiamo capirla, e non sappiamo che cosa significa. Ma l'abbiamo provata, e quindi sappiamo che deve essere la verità". L'unità immaginaria è la merce di scambio tra le quattro costanti reali più note dell'universo matematico: lo zero, l'unità reale, il pi greco, la costante di Nepero. In questa bolgia dantesca è nascosto lo scandalo della matematica, la scienza cortigiana in cui finito e infinito convivono. Piergiorgio Odifreddi, in un soliloquio arguto confinato tra le quattro mura teatrali di San Marino, si limita a disegnare su alcuni fogli figure geometriche individuate da punti: tre punti delineano un triangolo, quattro un quadrato, cinque un pentagono, "e così via". Ecco il nocciolo: "e così via". A questo punto la soluzione logica è il cerchio, e il suo insieme infinito di punti: il disegno è approntato e tratto il dado. Lo scandalo è in Eulero: il pi greco è il rapporto fra la circonferenza e il diametro del cerchio. Un solo numero è il rapporto tra due infiniti. "E così via": il cerchio, simbolo di un inifinito teorizzato, reca
in sé il finito. Nell'identità di Eulero l'equazione ha una natura tanto razionale quanto snervante: il cerchio si chiude sardonicamente ridendo in faccia agli astrofisici.


"Il cessa de calculer et de vivre" chiosò Condorcet nel suo elogio funebre in onore di Eulero. Se un giorno ti risveglierai dal sonno eterno verrai a spiegarmi la dottrina dell'Infinito.


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