Il negazionista e i sassi
Stamattina mi ha chiamato mia madre per segnalarmi che si era imbattuta nel prete lefebvriano negazionista all’altezza del Lidl di Fiera, mentre camminava con un giovane armeggiando dei fogli. Dopo circa dieci minuti, secondo i suoi calcoli, sarebbe passato sotto casa mia. Ho ringraziato mia madre, ho atteso cinque minuti, e sono andato alla finestra.
Vivo in una frazione periferica di un comune marginale di una provincia provincialissima. C’è una sola chiesa in paese, molto piccola, ed è gestita dai lefebrvriani. Attiguo alla chiesetta, sopravvive dai tempi dorati della mia infanzia un piccolo campo da calcio, dove noi ragazzetti andavamo a giocare. Un luogo non propriamente ameno, immerso in una zona residenziale paciosamente borghese.
Uno dei giocatori più talentuosi che abbia calcato quel prato era una mia compagna delle elementari, soprannominata Baresi per la rocciosa autorevolezza difensiva. Io me la cavavo, di velocità più che di tecnica. Alla fine delle partite raccoglievamo i sassi più grossi nei dintorni del campetto e andavamo a lanciarli contro i vetri della chiesa, che allora era abbandonata e circondata dai rovi. Chi aveva perso la partita poteva riscattarsi rompendo più vetri: anche in questo Baresi era molto brava.
Verso la fine della mia dorata infanzia, la chiesa fu acquistata dai lefebrviani, che nessuno capiva in cosa si volessero differenziare dagli altri cattolici. Me lo spiegò il padre di Baresi in un pomeriggio d’estate torrido, dopo che eravamo stati cacciati dal campetto da un residente della zona a colpi di schioppo. Era arrivata pure la polizia, che iniziò a interrogare i vicini. Ma non erano fatti che ci riguardassero, secondo i grandi: per noi bastava un giro di limonata.
Invece il mondo ci riguardava tantissimo: ci riguardava che il vecchio fosse stato multato per detenzione illecita di arma da fuoco, che i lefebrviani rifiutassero il Concilio Vaticano II, che noi fossimo sul punto di irrompere nella vita vera e di non poter più lanciare i sassi. Tutte cose che adesso, oltre a riguardarci, ci danno immensamente fastidio.
Nella piccola chiesa lefebvriana, dicono i giornali, in questi anni ci sono andati anche Bossi e Calderoli, e non serve il padre di Baresi per capire che ci sono andati perché sono fondamentalisti. Dieci minuti dopo la chiamata di mia madre il prete è passato sotto casa, e mi ha roso il fegato pensare che non posso più lanciare i sassi.