Questioni di fede

Il panorama musicale italiano sta riemergendo. Almeno, così sento dire. Dicono riemerga sempre più, grazie ai nuovi circoli Arci, grazie a X-Factor, grazie all’ultimo festival di Sanremo (uno dei più bei festival degli ultimi 30 anni!), grazie a Manuel Agnelli,grazie ai rinnovatisi Marlene Kuntz, grazie ai “giovanissimi” Verdena e soprattutto grazie all’arrivo dell’Emocore anche nel nostro meraviglioso paese.

Sì, voglio provare a crederci.
Voglio credere con tutto l’ottimismo benpensante che per farsi conoscere sia sufficiente andare in un Arci e chiedere: “Mi faresti cortesemente suonare?”, per vedermi rispondere: “Certamente, stavo andando a dormire, ma visto che sono le 2 del mattino ti faccio suonare anche subito, basta chiederlo!”. Voglio credere che non ci siano confini intellettuali, voglio credere che chiunque possa esprimere il proprio parere e/o opinione musicale, anche la più strampalata, voglio vedere ogni tipo di forma innovativa e insubordinata la mente umana riesca a congegnare, e la voglio vedere su un palco. Ma io ho un problema, bello grosso fra l’altro: non ci credo. Perché non credo che a Godano o ad Agnelli interessi rivoluzionare il nostro paese, perché non credo che i fratelli Ferrari mirino a smuovere nulla di particolare, perché non credo i circoli Arci siano dei circoli Arci. Ecco perché non credo.

Non credo poi, che politica e musica vadano di pari passo, non credo che ci siano band di sinistra o di destra, e per intenderci, evitando fraintendimenti, non credo neanche un minimo al liberalismo.

Credo solo ad una cosa: che è bene aprire gli occhi, guardarsi attorno, talvolta essendo anche critici più delle insolite e nefaste rime della coscienza, per arrivare alla sincerità, o morendo tentando di averlo fatto, per valutare se effettivamente è tutto oro quello che sbrodola convenzioni superate.

Per definire, una volta per tutte, dove sono finite le persone che hanno realmente cambiato il nostro paese, nel cuore e nello spirito, e a questa risposta arrivarvi stremato: sotto terra. Sotto tonnellate di danari liquidi e telematici, occultati in chissà quale holding svizzera, reinvestiti in ogni dove il sistema del music business necessiti, per autorigenerarvisi.

La luce salta, ed il maestro dice: “...adesso, dovrò chiamare l’addetto...”, ed un uomo sulla cinquantina arriva trafelato, dicendo fra sé e sé “...tsè, questi parlano di denaro, di innovazione democratica, e non sanno nemmeno cambiarsi una lampadina con le proprie mani...”.

 


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