Pane e lavoro. Prima il pane.
La quantità di beni che un uomo riusciva a produrre col proprio lavoro è stata per secoli uno dei parametri principali per lo sviluppo delle arti e delle scienze: in una parola, della civiltà.
Se un numero relativamente basso di uomini riusciva a produrre tutti i beni necessari alla popolazione, quella società poteva permettersi di mantenere a ufo vecchi e bambini, ma anche un certo numero di uomini (e donne) che potevano perciò dedicarsi alla vita di contemplazione.
Filosofare, speculare su tutto e su nulla, dedicarsi alle arti, perdere tempo in cose assolutamente improduttive eppure fondamentali per l’umanità.
Un clima mite e una terra fertile, ovviamente, aiutavano non poco. Ecco spiegato il motivo per cui quando a Roma c’erano già gli acquedotti e i cessi in casa, in Scandinavia i barbari stavano nelle foreste ed emettevano suoni gutturali (un po’ quello che capita ancor oggi con il death/doom/black metal, ma questo non c’entra).
Era un mondo antiegualitario, ma funzionava.
Una ristretta minoranza produceva arte, filosofia e tecnologia finché riusciva a tenere in scacco gli altri, poi arrivava un’invasione barbarica o una rivoluzione, si facevano un sacco di morti e il gioco ricominciava.
Ormai da un pezzo la tecnologia permette di produrre tutti i beni necessari, quelli facoltativi e soprattutto gli oggetti inutili (quasi tutti) impiegando una limitatissima quota di forza lavoro.
Tutti gli altri fanno cose improduttive e tendenzialmente dannose, anzi, come si dice adesso, “si occupano” di qualcosa (ovvero non fanno niente, sono solo occupati, come il cesso quando ti serve).
Poi c’è sempre quell’esigua minoranza, oggi come allora, che si può permettere davvero di non fare nulla, ma questi scellerati non passano il loro tempo ricercando l’Arché, o il Primo Motore Immobile, o a scrivere la “Divina Commedia” o a comporre “I Wanna Be Your Dog”, no.
Questi si industriano affinché tutti gli altri lavorino come somari per avere cose inutili che invecchieranno prima di essere usate, e per alimentare concetti come il PIL, più astratto delle parole di Heidegger.
Già.
La crisi ha rallentato i consumi e tagliato i posti di lavoro.
E se invece di spingere agli acquisti e a lavorare di più, lavorassimo tutti molto meno, e stessimo molto di più a filosofare, scrivere, ricercare, copulare, così da aiutare questo sventurato pianeta?
Magari rimarrebbe anche un po’ di tempo per “consumare” tutti quei prodotti, così da accontentare anche lorsignori.
Come dire, unire l’utile al dilettevole.