Depressione post-laurea

Mi sono chiesto tante volte che cosa sia la depressione. Quale migliore occasione per scoprirlo se non adesso, con questa crisi, che ha colpito tutti, nessuno escluso? Nascere, vivere una gioventù idilliaca, spensierata e protetta dalla scuola e la voglia di studiare, avere un’intelligenza tale da permetterti di andare avanti a studiare finché vuoi. Finché non arrivi alla resa dei conti, alla tesi, e poi vieni sbattuto nel mondo del lavoro. In piena crisi. Come un orfano lasciato al freddo fuori dalla porta a gennaio: le altre porte, quelle della società, sono tutte chiuse, sigillate. Comincio a capire che cos’è la depressione.

Quando trovi le porte chiuse, o quando il solito imbranato raccomandato ti frega il posto di lavoro al quale hai più diritto e merito di lui, e soprattutto del quale sei migliaia di volte più degno, quando sembra che la società non ti voglia avere fra i piedi  o ti voglia solo per le mansioni da porcaro, quando tutto questo accade, bisogna anche inventarsi un modo di reagire.

Mi iscrivo presso un ufficio di collocamento pubblico della mia Provincia, mi ridono in faccia quasi solo perché mi sono presentato, e poi come se niente fosse, alla fine di un inutile colloquio mi dicono:“Ha provato ad andare dagli uffici di collocamento a pagamento? No perché sa, noi quasi sicuramente non la chiameremo…”. Ah, che bello spreco di denaro pubblico. Un disoccupato ce li ha quei soldi per pagare un procacciatore di mestieri a percentuale? La depressione comincia a prendere piede.

Che cosa mi tiene legato qui dunque? Che cosa mi trattiene dall’andare a vivere in una a baita a 1500 metri di altitudine, lontano da tutto e da tutti? Perché questo mondo schiavo dell’economia non può o non vuole farmi vivere come i nostri avi ancestrali, senza bisogno alcuno di quello sporco denaro.

Mi hanno offerto un posto da simil sguattero in un ristorante di terza categoria. Prendo un decimo di quello che il mio nuovo diploma mi permetterebbe. Ma questo decimo mi permette ciò che il mio diploma non mi fa prendere. Alla fine il diploma è solo un pezzo di carta grazie al quale qualche tonto ignorante si ricorda di chiamarmi “dottore”.

Chissà come sarà, quando, nelle rare pause del mio mesto lavoro, uscirò dalla porta sul retro con un sacco dell’immondizia sulle spalle, e mi fermerò pochi secondi a rimirare i monti oscuri nella notte. Vedrò una luce brillare lì in mezzo ai miei monti e capirò che forse lì mi sentirei veramente a casa.


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