Pier Vittorio Tondelli - Viaggiatore solitario

(…)Quando ero più giovane non mi piaceva viaggiare. Quando avevo vent’anni, mi imponevo ogni tanto di andarmene via, ma ero solito dire agli amici: “I paesaggi e le città non mi interessano, perchè non li posso far miei. Non li posso mangiare”. Lungo il mio viaggio solitario, una domenica, a Chantilly, mentre un amico rapito dal paesaggio autunnale, grigio, sfumato, eppure così vivo fra le acque degli stagni, le rive, i fusti degli alberi le linee di un indefinibile orizzonte, diceva: “E’ un puro Corot. Lui ha dipinto esattamente questo luogo”, mi sono chiesto perchè da qualche anno anch’io ami i paesaggi, le città e i luoghi. E ami viaggiare.

Allora mi sono dato una risposta. Quando ero giovane, ero un ignorantone, leggevo poco, scrivevo male. Se avessi visto quel paesaggio, avrei solamente ricevuto un’emozione turistica. Oggi, invece, che conosco Camille Corot, posso vedere e sentire quel paesaggio, quella città, quel luogo, in un modo diverso.
Leggere libri, guardare opere d’arte, ascoltare musica, andare al cinema, sono tutte attività che nutrono il nostro sentire. Anche fare l’amore, essere innamorati, spedirsi biglietti fra una lezione e l’altra, correre e andare in bicicletta sono attività che l’interiorità – il leggere, il guardare – può nutrire. In questi anni votati così spudoratamente alla fatuità e al perbenismo, anche starsene un po’ zitti e cercare di crescere nell’interiorità può essere un gran bene. Questo ho pensato, fra le altre cose, durante il mio viaggio solitario. E ve lo dico con un po’ di rabbia, perchè mi sembra di trarre una morale da un’esperienza che preferisco lasciare così, senza un senso definitivo.  Perchè la gioia è nel non avere bisogno di giustificazioni e di morali: accettare di sperperare tempo e denaro e affetti perchè è così e non se ne può fare a meno. Il dolore è sterile.
Ma è l’unica cosa che ho, questo dolore, per cercare di capire.

Da: “Un Weekend postmoderno - Cronache dagli anni Ottanta" (Bompiani Ed.)



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