L'onestà non paga

La prima regola da imparare quando ci si impiega in una banca è: non vedo, non sento, non parlo. Il contratto prevede tale patto. Non mi ci volle molto a firmarlo, qualche anno fa, quando ebbi l'idea folle ma conveniente, di entrare in un istituto bancario privato svizzero, come impiegata di ricezione. Il mio compito era quello di aprire la porta, salutare nella lingua necessaria ed accompagnare il cliente (tedesco, russo, arabo, più spesso italiano) negli uffici, possibilmente sculettando, con educazione e discrezione ovviamente.
Ma visto che in una banca svizzera non te la rendono mai liscia, arriva sempre il momento del challenge. Il challenge a cui non puoi sfuggire neanche morto se sei uno appena svelto. In una banca meglio non far notare che hai un minimo di sale in zucca, seconda regola.

Il mio challenge era quello di apprendere il ruolo di cassiera. Però in quella piccola banca privata non c'erano sportelli, solo la cassaforte. Ore ed ore chiusa in una cassaforte. Lo potete immaginare l'odore dei soldi, di tanti tanti soldi? L'odore acre e nauseabondo di umanità che ha toccato, cinciscato e chissà quant'altro banconote lise ed unte? E' un fetore che si spande quando le sfogli nella macchina per contarle... come stare in una cucina del McD, alla sera devi farti la doccia per eliminare il puzzo grasso che ti si è incollato addosso. Uscivo dalla cassaforte solo per andare a ritirare i versamenti dei clienti in attesa negli uffici dei consulenti. C'era un consulente che pareva sempre sull'orlo di un infarto. Sempre affannato, anche quel famoso pomeriggio, il giorno prima delle mie vacanze estive.

Mi fa venire nel suo ufficio. Ad attendermi una coppia stressata. Italiani del nord-est. Negozianti, oppure una pizzeria, una sartoria. Tra le mani di lui vedo il mio incubo di cassiera apprendista. Non è la prima volta. Un'enorme borsa di plastica umida, reduce da una traversata del lago tra Italia e Svizzera legata sotto un motoscafo. Ve lo immaginate quanto olezza un mucchio di banconote strausate e bagnate di acqua lacustre? E a contarle? La coppia ha portato circa duecento milioni di lire, tutti in pezzi appiccicati e alla rinfusa da dieci, cinquanta, centomila lire. Il frutto della cresta quotidiana, esente scontrino fiscale. Dentro in cassaforte. Conta e riconta, passa e ripassa nelle macchine. Chiamo al telefono l'agente di cambio che mi strappa un aperitivo per una transazione decente, infine comunico le cifre alla coppia e al consulente agitato. Tutto a posto, versamento avvenuto, cambio ottimo, ce l'avete fatta, io pure, andate in pace. E i due scappano via come ladri, con la ricevuta - questa sì - in mano...
Alla sera conta finale. Orrore. Crescono trecentomila lire che trovo incollate assieme. Porcatroia che faccio. Fottute macchine. Però domani vado in vacanza. Quelli non sapevano manco quanti soldi avessero! Tre carte, per me mica poche. Ma... onestà. Devo pur dormire, in vacanza. Annuncio il fatto al consulente. Apriti cielo. Imbarazzo, agitazione, panico... aiuto, questo quasi mi fa un infarto!

La terza regola da imparare quando ci si impiega in una banca è: mai confessare i propri sbagli. S'impara in fretta perché una piccola ma solida banca privata non ammetterà mai d'aver cannato i calcoli, tanto quelli, gli evasori in motoscafo, non sapevano quanti soldi ci fossero nella sacca. Piuttosto la banca quelle tre carte le deposita in un fondo per la cena di Natale con gli impiegati. Pure questo si chiama "segreto bancario". Una cena a cui, alla fin dei conti (ah!) non mi fu permesso partecipare. Evidentemente non avevo capito bene la prima regola.


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