La rivoluzione è come il vento

seconda parte

...Non so bene perché mi sia fermato a guardare, ma quello che ho visto era un poveraccio davanti alla portiera aperta di una pattuglia della polizia. Un poveraccio rigido, stretto nelle spalle, le braccia abbandonate lungo i fianchi, cui due uomini in divisa intimavano non troppo amichevolmente di entrare in macchina. Un poveraccio che continua a rimanere fermo e si becca un manganellata tra capo e collo. E prima ancora di poter pensare che il polso continuava a fare fottutamente male, che avrei dovuto essere sotto i ferri di lì a un paio d’ore, che non era il caso di rompere le palle a una decina di poliziotti in servizio, oltretutto con una mano inservibile, che in fondo non era la mia guerra, ho sentito la voce esplodermi in un ringhio proveniente dallo stomaco, dando il la al coro selvaggio di improperi e minacce che si alzava contro quel robocop “de noantri” che ancora stringeva in mano il manganello, mentre i miei piedi seguivano la scia di mio padre che già si trovava a strattonare un paio di agenti. Lui, ultracinquantenne professore occhialuto e brizzolato, solo, lì in mezzo, a berciare e strattonare quando ancora i più giovani tra noi dovevano iniziare ad avvicinarsi. Poi mi ricordo solo mani addosso da tutte le parti, urla e sputi, i rayban di robocop che si schiantano a terra, una manganellata che fischia a tre centimetri dalla mia mano destra ancora in corsa per uno schiaffo e robocop con la faccia confusa sbattuto dentro una volante e portato via dai colleghi.

Mentre nella penombra fresca riprendevo fiato, ho pensato che se era successa una cosa del genere allora forse quel cambiamento che spasmodicamente stiamo cercando non può essere lontano. Che per rendere migliore il nostro paese basta comportarsi secondo coscienza, al di là di bandiere, politica e convinzioni. Ho pensato che la rivoluzione che ci occorre è questa, senza fucili e senza molotov, ma con la sana voglia di difendere quello che è giusto per tutti contro chiunque voglia toccarlo, fosse pure lo stato.

Mentre gli ultimi capannelli di gente si disperdevano, una brezza tiepida si è alzata ad accarezzare il quartiere. L’ho vista passare attraverso le foglie degli alberi, tra i capelli di quanti avevano partecipato a quel teatrino, prima ancora di avvertirla nell’androne dove mi trovavo.
E' stato come un abbraccio collettivo, il segno tangibile di quel fiero sentimento di giustizia che ancora ci riempiva, nonostante stessimo già tornando a scannarci per roma e lazio, il parcheggio e le liti condominiali. La rivoluzione, se è vera, ti prende senza chiederti cosa hai da fare, come la pensi o chi voti. Come il vento.

Grazie alla gente del mio quartiere che non se ne è stata con le mani in tasca quando si è trovata ad assistere allo spettacolo dello stato che abusa del proprio potere.
Grazie a chi, senza conoscermi, mi ha portato via da quel marasma nascondendomi in un portone che non era il mio.
Grazie al capitano di robocop, che in mezzo al casino ordinava a pieni polmoni ai suoi sottoposti di rimettere via i manganelli, e che a cose finite si è scusato con tutti stringendo la mano a mio padre.
Grazie a robocop per avermi ricordato cosa vuol dire l'espressione "imperativo morale".
Grazie a mio padre, che dopo quella mattina non sbuffa più quando mi sente parlare di thai boxe, e guarda con più rispetto le mie tibie perennemente coperte di lividi.
Grazie a tutte le persone che passando di lì quel giorno non hanno tirato dritto come io ero intenzionato a fare, dimostrandomi che il mio popolo non sta dormendo.
Grazie a chi, in questa storia, si è comportato come si conviene a un buon Italiano.




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