Carogne: da "Ok, il prezzo è giusto", ai giorni nostri

A me le carogne non sono mai piaciute. Mai. È una predisposizione che sviluppai fin dall’infanzia, quando, verso le sei, la televisione mandava in onda ‘Ok il prezzo è giusto’. Per poter giocare, i quattro concorrenti in ballo dovevano indovinare il prezzo di un prodotto esposto accanto a una bella signorina svestita, emerso dal nulla all’invocazione generale, quasi sciamanica, di «apriti, sesamo». Spesso si trattava di prodotti molto bislacchi, di marca o di design, come cavatappi-forbici, sedie per manager nani, lampade di nylon, cyclette per gatti, spremiagrumi portafoto o cose simili, sicché i concorrenti, abituati a fare la comune spesa settimanale all’Esselunga e lo shopping alla Standa del padrone, si trovavano in estrema difficoltà nello stabilire il prezzo di oggetti così improbabili.

La loro reazione, genericamente, consisteva nel voltarsi verso il pubblico vociante cercando di carpire un suggerimento utile: «cinquantamila!!», «novantamila!!», «millemila!!», urlavano, alzandosi spiritati dai seggiolini. E qui emergeva la detestabile carogna, la quale, sentito il prezzo proposto dal concorrente prima di lui («cinquantaseimila»), dichiarava una cifra di pochissimo superiore («cinquantaseimilacento»), ben sapendo che bisognava avvicinarsi al prezzo giusto solo per difetto: chi sforava, perdeva. Il suo, insomma, era un giocare contro gli altri, e precisamente contro un altro concorrente, di solito quello che aveva proposto la cifra più alta. Allora potevi vedere l’onesto travet che aveva detto ‘cinquantaseimila' gesticolare rabbiosamente e agitarsi verso i giudici o la presentatrice per contestare la vigliaccheria altrui, rendendosi conto che solo un miracolo avrebbe potuto farlo vincere. E infatti perdeva, perché la penna-springafiori costava 'sessantamila palanche'(!), per l’esultanza festosa della carogna, che poi avrebbe di sicuro totalizzato cento girando la ruota finale (da cui l’incitazione «cento! cento!» che ancora adesso può capitare di sentire da qualche nostalgico telespettatore nelle circostanze più varie).

Ecco: 'Ok il prezzo è giusto', che è stata una sottilissima arma in mano ai potentati per sviluppare nell’italiano medio la furia dello shopping e l’idolatria verso il denaro, a me ha soltanto stimolato una profonda avversione verso tutte le carogne. E quando adesso vedo i politicanti nello studio di Ballarò, così simile, per certi colorismi kitsch, a quello di 'Ok il prezzo è giusto', mentre urlano cifre verosimilmente inattendibili e statistiche oberate di numeri («diecimila milioni! un milione di occupati! ventordicimila voti!») penso che gente come Tremonti, dalla Zanicchi, avrebbe vinto di sicuro.


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