Il sapore dello sport

Steso su questa tela morbida, viscida di sangue e sudore, sorrido ai miei confusi pensieri.
Clint Eastwood con la voce italiana di Morgan Freeman mi parla di passioni innaturali mentre il dolore diventa una pulsazione sorda ai margini della mia coscienza; e cerco disperatamente di ricordarmi perché sono qui.

Sono qui per i soldi?
No. I soli soldi che si annusano in questa palestra di merda sono quei quattro spicci che caccio io ogni venticinque, quasi sempre in ritardo, unti dello schifo di lavoro che ho dovuto fare per guadagnarli e garantirmi così un altro mese di lividi ovunque, labbra rotte, occhi neri, contusioni,  e mal di schiena.

Sono qui per la fama, per le folle?
No, perché non c’è nessuno oltre i miei compagni a vedermi affondare, colpire, picchiare, schivare, incassare, subire per quanto bravo io possa essere. Non ci sono ragazze a guardarmi intimidite e ammirate; e fortunatamente non ci sono neppure torme d’idioti a spaccare treni o uccidere poliziotti nel mio nome. Dall’altra parte della porta a vetri riesco a vedere soltanto una minuscola sala pesi in penombra, dove un povero cristo indiano sta passando uno straccio più sporco del pavimento. Il massimo in cui possiamo sperare è un’occhiata a metà tra lo stupito e l’infastidito, quando qualche colpo entra meglio degli altri e strappa a chi lo ha incassato un verso più alto della musica che il tizio ascolta con il suo lettore mentre lavora.

Sono qui per la forma fisica, per il benessere?
No. Da quando ho iniziato a praticare ho avuto tre denti fastidiosamente scheggiati, una cicatrice da quattro punti sullo zigomo sinistro, varie fratture alle dita dei piedi, un intermittente fischio alle orecchie, le costole a bozzi, cosce e tibie perennemente livide, gomiti sempre doloranti…sono riuscito a salvare giusto il naso. Avessi almeno guadagnato un corpo da copertina. Macchè. Sono un fascio di nervi; muscoli stretti e duri che sembrano cavi in tensione affioranti da sotto la pelle, concentrati nei punti dove meno fa piacere vederli. Se i centometristi, i nuotatori, i calciatori hanno corpi di marmo, io ne ho uno di pietra grezza. Duro, sgraziato, coriaceo, forte, infrangibile.

Allora, perché sono qui?
Sono qui perché sento nel sangue il ritmo di questa danza antica come il mondo che si chiama combattimento; perché quella del lottatore è una chiamata, un istinto, una vocazione.
Sono qui perché amo la sincerità di chi ti stringe la mano dopo che l’hai mandato faccia a terra e ti fa i complimenti con il sangue che gli macchia il sorriso.
Sono qui per gli abbracci tra avversari; perché qui l’unico avversario vero ce l’hai dentro, e potrai dire di essere un campione solo quando l’avrai trovato e sconfitto.
Sono qui perché so che più è duro il cammino, maggiore sarà la soddisfazione del traguardo; una soddisfazione che nessun calciatore, nuotatore, centometrista potrà mai provare.
Sono qui perché, quando e se ce ne sarà bisogno, potrò decidere di subire un’aggressione o una qualsiasi altra forma di violenza con la serena consapevolezza di aver scelto di non difendermi, quando potevo farlo, con la certezza quasi matematica di avere la meglio.
Sono qui perché ho voluto avere la sicurezza di poter intervenire fisicamente per impedire che a qualcuno venga fatto del male sotto i miei occhi.
E infine sono qui - steso a terra, mentre quattro braccia robuste mi aiutano a rialzarmi e una voce va ripetendo “Ben combattuto, ben combattuto” – per questo aroma pungente, questo gusto acre di sangue, bile, sudore, rispetto, orgoglio e forza di volontà che sento in gola e che per me identificherà sempre il sapore dello sport.


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