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Nel mare magnum di facebook, come è ovvio, si trova di tutto.
E ben poche sono le pagine che destano nello svogliato utente qualche interesse.
Meno che meno una pagina il cui titolo, composto da due sole parole, associa la generica divinità “Dio” ad un utile animale conosciuto per avere un codino arricciato, familiarità con il fango ed un patrimonio genetico tanto simile a quello dell’uomo da permettere con relativa facilità trapianti di organi dall’animale-animale all’animale uomo.
Una bestemmia, insomma, e anche delle più comuni.
La pagina ad oggi ha quasi 2300 fans.
“Che fai, ti metti a fare il moralista, proprio tu?”
“No, nulla di tutto questo. Non mi da fastidio la bestemmia, che ritengo a volte un opera d’arte ed un fisiologico sfogo, inoltre non mi riconosco per nulla nei valori propinati dagli uomini a nome e per conto di certi personaggi di fantasia che pretenderebbero di osservarci dall’alto dei cieli con benevola considerazione, accarezzandosi la candida barba.”
No, il fatto è che la pagina non riporta altre informazioni, iniziative o motivazioni.
Insomma, nulla al di fuori dei commenti in bacheca dei fans (il cui tenore vi lascio immaginare) e da una frase, in cui il fondatore ci informa che il simbolo della pagina - un maialetto entro il triangoletto divino - non è suo, che ne riconosce tutti i diritti al legittimo proprietario o creatore, e che non è sua intenzione millantarne la paternità.
Una specie di disclaimer nei confronti degli eventuali diritti d’autore di questa opera d’arte.
Cominciate a capire?
Il livello di questi decerebrati che si autodefiniscono “eretici” (Giordano Bruno e Martin Lutero non san più dove rivoltarsi, nella tomba) è questo: nessun pudore per il buon gusto, per la gratuità di una scritta che non rappresenta nulla, non scandalizza e non veicola nessun messaggio, nemmeno la blasfemìa (che è ben altro), ma solo tanta paura e considerazione per il “copyright”, il rispetto per tutto quanto muova o riguardi i soldi, perché da buoni italiani “Non si sa mai, meglio essere cauti”.
Li abbiamo smascherati questi mutanti morali, questi devoti delle carte bollate, questi borghesi piccoli piccoli.
La religione dei soldi, il culto del più forte associato alla paura delle proprie azioni, ecco cosa ci vuole comunicare quella pagina.
Non è certo la miserrima e meschina parolaccia a costituire un’offesa insanabile, non è la ricerca di un facile quanto improbabile scandalo a reclamare una punizione esemplare per questi tipi d’uomo, no.
E’ la piccolezza dei loro orizzonti, è la livida paura del padrone, è il miserabile vizio di "mettere le mani avanti” che giustificherebbero pene corporali esemplari e la retrocessione al rango di paria dell’universo.
Ed anche senza voler individuare questi significati occulti, guardatela, la pagina in questione:
Una parolaccetta, impalata su una squallida videata di quell’impubere social network che tutti conosciamo, stampata lì in bellavista, senza nessuna contestualizzazione, senza nessun oggetto contro il quale scagliare la propria (presunta) eresia.
E’ come osservare un perizoma usato, da solo, senza alcun caldo corpo femminile all’interno. Diventa solo uno straccetto buttato sul pavimento, senza nessuna capacità di eccitare; un banale indumento da cui è impossibile trarre alcuna calda evocazione.
Un oggetto buono per certi pervertiti di bassa lega, che, di solito, hanno almeno il non trascurabile merito di nutrire le proprie insane passioni in solitudine.