Un giorno come un altro
E’ una freddissima giornata di fine gennaio, di quelle che senza guanti non ce la si fa.
In agenda una lista di almeno 10 cose da fare tra cui la spesa, quella grossa di fine mese che sa le spaccherà la schiena ed anche qualcos’altro. Ma la priorità della giornata rimane l’andare a trovare i genitori, che abitano decisamente non dietro l’angolo, così propone a sua madre di andare insieme al supermercato e passare un po’ più di tempo in reciproca compagnia. La madre accetta di buon grado.
Si prepara, prende il cd dei Durutti Column da ascoltare in macchina e si porta dietro anche il cane.
In poco più di una mezzora è a casa loro, cosa che le fa sempre uno strano effetto dire, visto che la sua camera è sempre tale e quale e strapiena dei suoi vinili e libri che non è ancora riuscita a portare via e che presume resteranno lì ancora per un bel pezzo. La madre ogni volta inscena la solita pantomima in cui lamenta che la casa sia ancora selvaggiamente piena dei suoi effetti, ma sa che in realtà non le dispiace per niente, ordine a parte. E sta al gioco.
Il pomeriggio passa lieve tra chiacchiere, azioni di routine e gesti di intimità ed intesa mai perduti che dolcemente sembrano rovesciare l’ago della bilancia e l’ordine delle cose ma in modo sottile e naturale: non è dovuto solo all’età ma lei si scopre sempre più adulta accanto a loro e da adulta si approccia e comporta. Materna, protettiva e colma di attenzioni. Nel modo in cui loro lo furono con lei a suo tempo ed in cui tuttora lo sono, nonostante l’età.
L’Amore, il prendersi cura dei propri cari non ha tempo, né genetliaco.
E’ un continuum che vive di vita propria e di fasi alterne, che ognuno sperimenta senza razionalizzare.
Tornati a casa, scarica loro tutta la spesa e mentre il padre le dice (ma senza insistenza) di lasciarla lì, lei gliela porta al 2° piano lasciando che loro salgano lentamente.
Dopo aver tagliato i capelli al padre, rituale mensile, e bevuto qualcosa di caldo insieme, arriva l’imbrunire e con esso l’ora del rientro e, con la macchina colma, arriva il momento di rimettersi in autostrada. Li abbraccia, li bacia e saluta. Una carezza al cane e prendono le scale.
Quindi si volta a guardarli. Eccoli lì, con quell’espressione che ama tanto, nei loro vestiti comodi, con quel sorriso malinconico e un po’ acquoso, lievemente curvi, con i capelli grigi che adora spettinare e con quell’espressione vagamente triste che lascia lì sospesa la voglia di rivedersi subito, tangibile e tenera. Lui le sta alle spalle, ancora tanto alto, la sovrasta e cinge con un braccio posato delicatamente sul fianco, lei attaccata alla porta fa un cenno di saluto.
E’ quasi arrivata al portone quando sente lo scatto della serratura dall’alto, tlack tlack, e li pensa al riparo da tutto e tutti. O almeno spera.
Sale in macchina e con lo sguardo appena umido, accarezza il muso nero del cane sul sedile posteriore, mette in moto e parte.