Produci, consuma, crepa!

In una società votata al consumo, che in esso trova il proprio bisogno primario e la propria più evidente debolezza, abituati come siamo all’idea che tutto sia deperibile e soprattutto sostituibile, finiamo per vivere applicando questa regola anche agli ambiti più profondi ed istintivi dell’esistenza, spaziando dalle cose materiali alle relazioni umane e sociali.
Abituati ai rasoi usa e getta, ai cellulari in promozione, alle tv al plasma e alla macchina a rate, sembra che i più non siano ormai capaci di distinguere cosa valga davvero, nel senso più ampio del termine, valore, e cosa no, cosa sia davvero sacrificabile e cosa necessario, cosa e soprattutto chi, quale affetto valga la pena di conservare e custodire con cura, e cosa invece vada gettato nel grande pattume esistenziale.
Tutto è intercambiabile, alienati e convinti dell’idea che lasciata una cosa sicuramente potremo cercarne e trovarne una migliore, magari completamente diversa, o anche no, nulla ci ferma, nulla è più potente della nostra folle corsa verso la perenne quanto utopistica sconfitta dell'insoddisfazione.
Così assistiamo a questo grande rinnovamento, vedendo le persone a noi vicine cambiare una relazione o chiudere un matrimonio con la stessa velocità con cui cambiano l’arredamento, contendendosi i figli quasi come farebbero con l’ultimo capo di abbigliamento firmato in super saldo nella boutique del centro o come l’ultimo fichissimo modello di orologio da polso.
Del resto siamo abituati a cambiare tutto e spesso, nel solo tempo necessario, per esempio, ad entrare e girare in un negozio tra altri individui alla ricerca di quel che di speciale possa attirare la nostra pigra attenzione.
Chissà cosa pensano certi anziani di questa nostra fame insaziabile.

Certe sere rientro a casa, stanca morta, e senza dire una parola metto su uno di quelli che definisco i miei cd preistorici che farebbero rabbrividire un adolescente divora musica fast-food, uno di quelli talmente datati che mia zia avrebbe definito “del voltes-indrè”, letteralmente “talmente vecchio che per vederlo dovresti voltarti all’indietro”. Faccio quelle due telefonate ad amici che mi seguono pazientemente da decenni e ripeto all’infinito i gesti della routine che oltre ad una consuetudine un po’ annoiata e snob mi danno una tiepida sicurezza.

Ma soprattutto guardo dentro i suoi occhi sapendo che per quanto potremo mai discutere e litigare, non andremmo comunque facilmente nel giardino del vicino a cercare qualcosa di più nuovo e per questo più interessante, pur non sapendo con certezza quanto questo tacito impegno potrà durare e vivere con noi, di noi.


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