Clochard

Piedi, piedi, piedi.
Da dove sono io ne vedo migliaia ogni giorno e di tutti i tipi; calzare scarpe alla moda, in saldo, di lusso, del mercato, stringate o scamosciate, con tacchi vertiginosi o raso terra, contenenti passi di ogni lunghezza e andatura. E tutti sempre contraddistinti dalla fretta.
Da dove sto io, ogni giorno passano centinaia di persone e ognuna dura solo un attimo, il tempo di una frazione di secondo, di un respiro, e subito sparisce alla mia vista. Quasi nessuno si ferma, mai, se non brevemente per poi scavalcarmi, passarmi oltre, e raramente regalarmi una moneta.
Ma in ognuno leggo puntualmente qualcosa: a volte il disprezzo, a volte la pena, altre, la paura, e solo raramente la comprensione.
E sì che un tempo ero anch’io come loro: affaccendato in mille cose, avevo una casa, un lavoro, perfino degli affetti ed una vita privata, una vita che loro ovviamente ora definirebbero (e definiscono) normale, scandita da riti e ritmi incessanti spesso decisi da altri, quindi imposti.
Avevo bottiglie di buon rosso a cena, maglioni di lana morbida e calda contro il freddo ed ero spesso insoddisfatto di quanto avessi fino a quel momento ottenuto dalla vita che allora mi sembrava tanto ovvia e scontata.
Perciò un po’ noiosa, prevedibile, sempre uguale.

A volte basta un intoppo, il semplice mancato pagamento di un paio di forniture importanti, la mancanza di liquidità, il non essere previdenti, l’inaspettato caso che non concede preavviso, un investimento non riuscito, una frode, la sfiga, un banale incidente. Oppure la scelta libera ed incosciente di mandare tutto a puttane, un giorno, per una goccia in più, per il vaso pieno.

Ora non c’è più ansia, non c’è più incertezza né disperazione, perché anche l’essere disperati sottintende che si abbia ancora qualcosa da perdere, fosse anche solo la paura di poter essere ulteriormente defraudato.

Ed io li osservo mentre mi passano sopra e accanto, mentre si affannano in lunghe telefonate che vogliono fare sapere a tutti quelli che li circondano quanto siano professionali e importanti e rido di loro e delle loro premure, mentre controllano che la macchina non venga graffiata o che il vestito non venga sgualcito, sporcato, facendoli passare inosservati, rendendoli invisibili a quelli come me, che dormono per terra.

Rido della loro ricchezza che in realtà è schiavitù e mi sento libero di fronte ai loro legami e vincoli, io che posso morire da un momento all’altro anche ora, senza che per questo crolli il mondo né per me, né per alcuno.



Carico i commenti... con calma