Chiedi al fango

Una pioggia eterna cade ormai sul Veneto. Sembra quasi che il corpo della regione su cui mi ha posto il destino si stia sfaldando lentamente. Da Vicenza a Padova, a Caldogno, a Cresole il terreno è diventato come il corpo disteso di un arrogante provocatore che riceve colpi su colpi credendosi invulnerabile: provoca alla rissa un avversario di forze incomparabili, estreme, e si rallegra del fatto che i primi pugni, per quanto violenti, non lascino tracce sul suo organismo. Ma, come tutte le ore feriscono e l’ultima uccide, tutte le gocce di cemento indeboliscono e l’ultima provoca la morte di un territorio. Così è il Veneto. Un’apocalisse di cemento che ha dimenticato come sotto l’asfalto che nessuno calpesta, sotto i centri commerciali che ospitano anime morte, come sotto le migliaia di case inabitate e di fabbriche immobili ci sia la terra veneta.
Cadono massi sfaldati come palazzi in rovina, cadono i denti spaccati del Veneto, colpiti dai pugni del Bacchiglione, del Tesina, dell’Agno, fiumi da niente resi invulnerabili dalla morte della terra veneta; l’acqua rovesciata sul cemento diventa umana quando non trova via di fuga: urla, cade in panico liquido, soffoca come una folla sotto la sua stessa massa, cresce cadaverica fino a morire e a trasfigurarsi in una palude di fango priva di senno, pronta a ingoiare migliaia di animali, milioni di euro e tante speranze quante vittime.

Ho spalato fango. Poco per senso civico, forse per nulla per altruismo, probabilmente molto per soddisfare l’ingenuo palato del mio ego e per apparire, almeno ai miei occhi, come un angelo del fango o qualche stronzata simile; o come la persona generosa e disinteressata che, pur tentando, non sono mai stato, tendendo piuttosto alla piccolezza, alla miseria nelle azioni, ad un egoismo spicciolo ammantato da una patina di falsa pirite morale.
Ma non è di questo che volevo parlare. Mettendo da parte il mio ego prezioso, ecco che narro di aver spalato fango.
Tu da solo? No, signor Brecht.
Volevo parlare di ben altro.
Perché so che un’esperienza individuale di rado può assurgere al rango di verità generale. Ma so anche che nei giorni del fango di Vicenza ho conosciuto e parlato con altri volontari.
E in gran parte erano gente di merda, la peggiore feccia del mondo, la più guasta fanghiglia umana in cui si possa pescare.
Negri di merda, vecchi e giovani, uomini e donne. Quelli ai quali dai del tu quando li incontri, anche se hanno l’età di tuo padre e perché non hanno la bianca gravità di un professore universitario. Quelli che sembrano usciti l’altro ieri dalle caverne, sozzi e animaleschi nei lineamenti.
Rumene del cazzo, che lasciano il lavoro miserabile di pulire scale e cessi per passare quattro ore in uno scantinato allagato come non se ne trova traccia neppure nella Bibbia o nel fluviale “Suttree”. Rumeni pezzenti, stupratori, ladri, sempre pronti a menare pugni e fendenti, ratti subumani, niente più che carne da linciaggio mediatico o da frecciatine da leghisti moderati.
Operai disoccupati, mezzi uomini ricchi solo di ignoranza, di dignità perduta nei gorghi del tempo, di monolocali umidi dalle cui crepe cola povertà.

Ti ringrazio, fango. Mi rivolgo a te come ad un uomo, come a tutti gli uomini e le donne incontrati in quei giorni. Scrivendo queste righe mi trovo a sovvertire l’antica metafora che ti vede come simbolo della sporcizia, fisica e morale. Il fango è pulito, onesto. Più si deposita sulla faccia e sugli abiti più rende consci dell’umanità di chi ne viene ricoperto. Cristo aveva ragione. Beati gli ultimi perché saranno primi. Ma per me questi ultimi sono già primi qui sulla terra: uomini e donne che mi mozzano il respiro. Che mi lasciano commosso, steso sul mio letto alle sei di mattina, con l’abusata non metafora reale del cuore gonfio. Vedo i vostri visi, amici.

Per quanto io stesso sia indegno, davanti a loro, immerso nelle mie comode certezze e nel mio egoismo miserabile e benché, come ho già detto, la mia sia solo la mia esperienza, ho una domanda.
Ho una domanda per voi, ragazzi del Veneto bene, per voi che, pur avendo due lauree vedete negri e rumene e non persone, per voi che trattate con condiscendenza gli operai che vengono a rifarvi il tetto o la signora che vi pulisce casa, per voi che fate gli stronzi con il padre medico e la madre dentista, per voi che se trovate Franco vedete in lui il deficiente che costruisce bare e non l’uomo.

Voi, dove cazzo eravate mentre loro splendevano come uomini liberi nel fango?



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