Chicco

Ne ha fatto di strada il piccolo Chicco per finire dentro quella miserabile gabbia metallica: al massimo poteva essere 70 x 70. Gli hanno fatto attraversare stati, deserti, mari, continenti; migliaia di chilometri per arrivare fino a quella maledetta tana, per farlo diventare il classico “souvenir” da mostrare agli amici e curiosi.

Chicco, splendido pennuto grigio proveniente da chissà quale fronda della savana centroafricana, dotato di una splendida coda rossa e di un becco prensile spettacolare, forte e delicato alla bisogna, nei lunghi anni di immeritata prigionia ha imparato a imitare, alla perfezione, i suoni e le voci captate da chiunque gli si parasse di fronte: non avete un’idea di quante volte ho visto i condomini scendere in pigiama a bordo strada pensando ci fosse una raccomandata da ritirare… perché Chicco era in grado di rifare tutto: prima il vespino smarmittato del postino, poi il fischio e infine il cognome a gran voce del malcapitato di turno.

Chicco, oltre essere un amabile mattacchione e un divoratore instancabile di semi di girasole, ci crederete o no, era un devoto fan dell’elettropop dei quattro androidi di Dusseldorf: i Kraftwerk. In particolare si esaltava per il repertorio più arcaico e ostico: ad esempio andava in letterale visibilio - non so se avete presente - per il brano “Antenna”: quei suoni acutissimi, cosmici, tendenti all’infinito quasi a voler creare un ponte transcontinentale per cercare di comunicare con i suoi liberi consimili.

Noi, poco più che bambini, non è che potessimo fare molto per cercare di alleviare la sua ingiusta detenzione: tranne quella volta storica che mio fratello aprì, diciamo così, inavvertitamente l’uscio della gabbia per farci apprezzare la imponente e per noi inedita apertura alare e farlo svolazzare per tutto il quartiere, una tra le poche cose che potevamo fare era spalancare le finestre del soggiorno, smanettare adeguatamente lo sciancato impianto giradischi Philips e, soprattutto, mettere su il consunto vinile del 1975: Chicco per tutta la sera seguente, l’indomani e per chissà quanti giorni consecutivi avrebbe riprodotto, alla assoluta perfezione e senza pietà per tutto il vicinato il repertorio cosmico dei quattro robot mittleuropei.

Qualche inverno fa, uno dei più rigidi degli ultimi anni, Chicco ha smesso di cantare: nonostante non fosse malato ma anzi ancora giovane e forte semplicemente non ha ce l’ha fatta a resistere al freddo ma soprattutto alla fame. La proprietaria, partendo per qualche giorno, dimenticò di lasciare al figlio, che avrebbe dovuto accudire almeno una volta al giorno la povera bestia, quel poco cibo necessario a farlo sopravvivere.

Quel giorno maledetto vi giuro che avrei voluto ficcarci quei due dentro quella gabbia. E sono sicuro che, pur con tutta la disperazione possibile, neanche in coro avrebbero mai saputo rifare “Antenna” come Chicco.


Carico i commenti... con calma