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Mi lanciai in quest’avventura senza preoccuparmi delle conseguenze, né di tutti gli impegni e oneri finanziari che avrebbe comportato. Conoscevo il mio nuovo socio da quando eravamo ragazzi. Da nove anni era costretto a vivere su di una sedia a rotelle e conduceva una esistenza solitaria, dimenticato da tutti tra le quattro mura del suo piccolo appartamento. Fu lui ad avere l’idea, “Dobbiamo aprire un negozio di parrucchiere per signore. Io e te assieme sono certo potremmo farcela; e finiremmo anche con il tirare su qualche soldo.”

Non sapevo nulla di forbici, föhn, shampoo e balsami, spazzole, tinture e lozioni per capelli e non avevo idea del perché avesse deciso di riscattarsi intraprendendo l’attività di parrucchiere per signore; forse in questo modo intendeva esorcizzare quel principio di caduta dei capelli, quell’incipiente calvizie che tanto lo tormentava nell’ultimo periodo. Non gli feci alcuna domanda tuttavia, non ne ebbi bisogno: era mio amico da sempre, tanto bastò, e, affascinato dalla sua determinazione e da questo nuovo mondo a me sconosciuto, acconsentii a prestare la mia opera e le mie risorse finanziarie in quest’attività.

Cominciammo con grande entusiasmo, superando brillantemente le prime difficoltà burocratiche e quelle legate all’apprendimento del mestiere e allo studio scientifico della cura delle capigliature femminili, finché le cose non presero a girare a dovere. In breve avemmo un discreto giro di clienti: per lo più, con nostro grande rammarico, constatammo come la parte più consistente e, in tutti i sensi, corposa della nostra clientela fosse costituita da vecchie e attempate signore. Tuttavia le cose stavano così e ce le facemmo piacere; sogghignavamo tra di noi, complici beffardi, compiacenti, quasi perversi, mentre ci dedicavamo alle esigenti criniere di queste simpatiche ciccione, vecchie befane.

Fuori da questo idilliaco paradiso da coiffeur, tuttavia, dovevo tenere conto della mia vita quotidiana e lavorativa. Assistetti inerme alla mia oramai ex compagna preparare le valigie e lasciare per sempre quello che era stato il nostro appartamento e la mia vita lavorativa finì con il travolgermi: avere trascurato troppo tempo l’ufficio aveva comportato un ingente quantitativo di lavoro arretrato da smaltire. In realtà consideravo la mia nuova attività di coiffeur per signore solo una generosa concessione fatta a un amico e pensai che concentrarmi esclusivamente sul lavoro fosse esattamente la cosa più giusta da farsi.

Considerandomi impossibilitato a frequentare il negozio, smisi di andarci e nei due mesi che seguirono mi limitai a farmi inviare periodicamente i conti da mettere in ordine e pagare le spese, e a qualche telefonata informativa di tanto in tanto.

Poi una mattina il mio amico scomparve. Preso dal panico, mi precipitai in negozio per cercarlo, ma vi trovai invece una inodore massa informe, quello che appariva essere un cadavere in cui tutti credettero di riconoscere il mio amico: lo diedero per morto e celebrarono un triste funerale cui tuttavia, nella perplessità generale, mi rifiutai di presenziare. Il cadavere nella bara non era il suo, perché lui non era morto e lo sapevo condurre una nuova libera esistenza in uno degli infiniti mondi contenuti in uno dei flaconi di balsamo che avevamo in negozio.

Vendetti l’attività, ma tenni per me il flacone. Compresi di essere solo, ma non ebbi mai il coraggio di abbandonare tutto e di raggiungerlo nell’infinito vorticare delle galassie contenuto nel flacone, finché un giorno, che mi sembrava di impazzire, decisi di berne il contenuto. Mi bevvi tutto il contenuto del flacone e in un attimo fu come bere tutta la sua vita. Vomitai e ebbi disprezzo di me stesso; nulla avrebbe mai potuto restituirmi quello che avevo perduto.


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