
Tra Cioran e Salvatore
L’universo umano sembra sempre più grottesco, manipolato da forze di cui è impossibile tracciare un profilo comprensibile. La pratica dell’accumulo verbale e dell’elenco non metodico diviene un mezzo per omaggiare l’apocalisse di Cioran e l’assurdo di Beckett. Omaggio che, con inquietudine, si muta in orrore: voi sapevate, maestri, voi avevate percepito questo sfaldamento del mondo e dell’uomo. Ma, dissimili dagli antichi profeti, dopo le vostre parole non rimane nulla, se non un campo di cenere arida. Nessuna redenzione, divina o illuminista, nessun viaggio verso una perfezione tanto ambita quanto irraggiungibile.
Un ragazzino stuprato da sette coetanei, ululati ubriachi che culminano in pestaggi nelle notti cittadine, stirpi di clandestini il cui destino è sospeso tra la morte e la morte, il vicepresidente del CNR che inveisce contro gli omosessuali e che definisce la tragedia giapponese “… una voce terribile ma paterna della bontà di Dio.”.
Ventenni universitari, futuri medici, avvocati, magistrati, penalisti, fisici, biologi, storici, scrittori, che vedono tre vecchi in piedi nel treno delle 15.05 per Trento e che si guardano bene dal cedere per mezz’ora il proprio posto a sedere. Quella che dovrebbe essere la parte migliore del paese si condanna da sola con questo miserabile non-atto senza scusanti, dal costo infimo e dal prezzo immane.
Potenze costruite dall’uomo contro l’uomo per le quali la comprensione è diventata estremamente ardua e, allo stesso tempo, comunque necessaria; per chi discende da stirpi di contadini, contrabbandieri, pescatori, allevatori le armi di distruzione di massa, le centrali nucleari, gli strumenti tecnologici con i quali scoprire gli eterni misteri del cosmo rimangono un mistero assurdo: a che pro tanta potenza quando per salvare un territorio dalla carestia e dalla siccità sono sufficienti investimenti economici esigui e macchinari ai limiti del rudimentale e, nonostante l’umiltà di questi mezzi, non c’è volontà di raggiungere un fine così semplice e giusto?
Cadiamo sulla terra senza volerlo, strappati via come lembi di una cucitura, e viviamo nudi e sanguinanti, sporchi di terra e incoscienza, segnati dall’assurdo al quale è impossibile rassegnarsi, pur nella lucidità della comprensione della sua esistenza. Oggi non ho le forze per sradicare dal campo della vita un elenco, altrettanto disorganico del precedente, di quello che di buono compie l’uomo per l’uomo: i miei occhi sono inetti a questo compito, deboli la mia pazienza e la mia volontà; è difficile, tra migliaia di vespe, estrarre l’ape bottinatrice capitata, per cattiva sorte, tra loro.
Vago tra le molte valli della vita, in attesa del suo assurdo dipanarsi, barcollando pervaso dallo sforzo di mantenere una rotta accettabile. Eppure, sentire il mite, forte e favolosamente vecchio Salvatore mentre parla di come ha bizzarramente guarito il suo cane contro ogni previsione veterinaria mi riporta pace. E un sorriso nella cupezza del giorno che viene.