Automi eruditi

Si dice che ciò che distingue il ragionamento umano da quello artificiale sia che il nostro processore centrale esegua associazioni di elementi su un continuum analogico ovvero ad esempio : se pensiamo a un ricordo d’infanzia, torniamo all’adesso e re-immaginiamo quel ricordo fra un’anno, allora il flash di memoria ci apparirà diverso senza che un processo cosciente sappia decifrare perché siano andate perse (o acquisite nuove informazioni) - in un file .avi questo non succede, se manipoliamo uno script i processi di modifica sono tangibili e comprensibili.

La creatività, semioticamente parlando, è il nostro riuscire a concepire dettami, schemi, figure non calcolabili cioè riusciamo ad esempio a tradurre la visione oculare di un oggetto con cui interagiamo in uno spettro di cromature e forme infinito, unico e senza confini ed è ciò che invece un .jpeg derivato da una scansione o una fotografia digitale deve necessariamente essere spezzettato in pixel secondo una griglia e una numerazione ben precisa… ciò significa che la computazione del reale al computer crea qualcosa di solo apparentemente reale, e quel qualcosa di apparentemente reale non è in grado (poiché già digitalizzato), a tradursi in qualcosa di reale: il continuum analogico di cui noi ci avvaliamo.

Bene, queste nozioni – nella loro lieve complessità ma masticabili anche ai non addetti ai lavori come me che capisco mezza cippa di informatica – che mettono a confronto due universi di ragionamento in apparenza intangibili sembrano trovare progressivo punto di convergenza nell’imminente progresso socio-tecnologico che ci apprestiamo ad affrontare. Come due rette parallele che intravedono la collisione per il loro progressivo avvicinamento ai poli. Archiviata ormai la possibilità di conquista dell’universo per mancanza di propulsione energetica (e diciamo anche una diffusa accidia verso il senso della scoperta) sembra tanto che la tecnica nella ricerca e lo sviluppo sia ormai relegata in una stretta cerchia di espedienti volti a suffragare la nostra implacabile voluttà dell’avvalerci di una sempre più estenuante dipendenza telematica: mezzi che ci esulano da una partita faccia a faccia col reale, mezzi che con un click riescono a mediare e sopperire a tutti quei compromessi temporali- operativi che una volta servivano per “faticarsi” avidamente o un bene o un servizio.

E se il nostro percepire, sentire, toccare stesse davvero perdendo totale affinità col raziocinio libero, boicottato, quest’ultimo, dall’irresistibile fascino della cyber cultura? Quale sarà il prossimo passo? Tradurre i nostri pensieri in bytes ed entrare in completa simbiosi coi computer? Esistono già apparecchi che riescono a captare la variazione di eccitazione e inibizione neuronale; forse è ancora poco ma se pensiamo all’avanzamento siderale fatto dalla rete globale - dai vecchi 56 k all’attuale wifi iperveloce in meno di 15 anni - allora sistemi che ci incanalino in memoria interi tomi di anatomia, astrofisica, diritto e statistica sono realtà dei prossimi decenni, non certo fantascienza. Diventare proprio come le macchine di cui ci avvaliamo tanto di essere superiori ma che ci battono in quell esaustività eruditiva che tanto invidiamo. Ma senza più il piacere del progresso e della scoperta in cui il “tutto” sarà già dato fin da subito. Un mare infinito di cui riusciamo però a malapena a lambirne i contorni senza addentrarvici mai, colpiti noi da ineffabili quanto frenetici stimoli sempre complici nel distrarci nella risoluzione dei nostri reali voleri e le nostre potenzialità.
Entrare in uno stato simbiotico con le intelligenze artificiali, vere e avide detentrici di protocolli sicuri nel loro essere meccanicamente impeccabili.

E’ veramente quindi giunta l’era in cui l’uomo deve sopperire alla sua prerogativa di libera associazione dei concetti e delle entità esterne e piegarsi e questo determinismo meccanicistico, questo universo ormai compiuto in cui cerchiamo invano limiti invalicabili?

Non abbiamo davvero più nulla da creare?


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