
Cristo si è fermato a Eboli
Se chiudo gli occhi e immagino i profumi d'infanzia della campagna lucana, quella in cui trascorrevo i tre mesi di vacanza scolastica, ne ricreo due distintissimi: quello del fieno arso al sole, più o meno fino ai dieci anni, e quello, successivo, del gas naturale di sfiato dei primi pozzi di petrolio della Val D'Agri.
Che il petrolio della Val D'Agri copra oggi il fabbisogno nazionale del 10%, con un' area di di trivellazione di quasi cento ettari, è cosa risaputa.
Che il paese Viggiano (natale di mio padre) ne tragga diversi milioni di euro (pare 17 annui) in royalties per concessioni all'Eni, un po' meno, sebbene immaginabile.
Sono tornato in quella terra dopo quasi dieci anni di assenza, con l'idea di girare in lungo e in largo i luoghi dove Pasolini trovò l'ispirazione per il suo Vangelo, di respirare la stessa aria esule di Carlo Levi, di interrogare una regione così timida quando vuole manifestare le sue immense eredità greche, romane, normanne, saracene, spagnole. Una terra che ha laghi e montagne che tolgono il fiato, con calanchi alti fino a quattrocento metri cosparsi di fauna marina millenaria e che promuove l'eolico e gli idrodotti.
Al petrolio neanche ci pensavo più. Persino il suo "profumo" si era fatto più discreto.
Poi però mi sono arrivate all'orecchio quelle parole dai pesci morti del Pertusillo e la verità di quella "offerta" di acquisto delle proprietà dei miei, ché i pozzi devono diventare almeno cento, di altri 70 ettari. Aut-aut, prendere od espropriare.
E allora ho ringraziato la Madonna Del Sacro Monte che i miei nonni non siano arrivati a vedere il Peggio. Anche solo il loro.