Linea 2Bis

Ci sono dei fine settimana in cui mi capita di portare fuori il cane, dove stanno i miei. Immancabilmente, implacabile, mette il muso a terra appena uscito dal cancelletto di casa, scende la via per cinquanta metri, gira a destra, rasenta tutto il muro fino al viale. Poi attraversiamo il viale, e lui, sempre naso a terra, tenace, testardo, arriva fino al palo giallo della fermata del bus. Annusa, e piscia.

Linea 2 Bis. Il cane non lo sa che io la linea 2 Bis l’ho presa quasi ogni mattina, per otto anni, quando facevo le medie e le superiori; prima della sua nascita, prima della nascita dei suoi genitori e forse anche dei suoi nonni, insomma prima del suo pedigree. E non lo sa che il palo della linea 2 Bis era un traguardo ed un punto di partenza, ogni giorno, quando mi alzavo dieci minuti prima che arrivasse il bus, milavavomivestivofacevocolazioneecorrevodirettamenteinstradasenzaessermimessolozainoaddosso.

Per otto anni ho preso quasi ogni mattina il bus che mi portava a scuola e che arrivava alla mia fermata già pieno della gente del quartiere prima e del paese prima, così che io e i due tre della fermata – che non conoscevo, e con cui non parlavo perché ero sempre in ritardo – dovevamo salire a spintoni, stringerci sulle porte, e sperare che si chiudessero.

I giorni peggiori era quando pioveva, perché c’erano molte più persone, e di salire non se ne parlava nessuno, dovevi aspettare la prossima corsa che ti faceva arrivare in ritardo, o sperare nella pietà della vicina di casa che portava le figlie alle private e ti dava un passaggio in Mercedes, perché i Suv non li avevano ancora inventati e il Pajero lo usavano i mariti.

I giorni migliori era quando era bel tempo e si faceva primavera, c’era meno gente e si stava in piedi con un poco di spazio, ne vedevo e sentivo di tutti i colori, del tipo che senso ha che Piovanelli sia andato alla Juve, a me ed a mio papà il Trio che fa i "Promessi Sposi" ha sempre fatto ridere, oggi pomeriggio andiamo in sala giochi e cerchiamo di finire "Dragon Ninja", quanto costa la Best Company di tua sorella, le Lumberjack sono da sfigato meglio le Timberland e via dicendo.

Poi mi ricordo Serena, che stava sempre nel sedile in fondo e non sono mai riuscito a parlarle, finché si è saputo che d’estate aveva trovato uno in piscina e ogni illusione era finita; Paola che era decisamente più grande di me, tanto più grande che a un certo punto non si è più vista salire, e passava davanti alla fermata guidando il maggiolone bianco della madre; Stefania, che metteva i tacchi e un giorno si è messa a parlarmi di Dario Argento, e di quanto belli erano i suoi film, e che il suo preferito era "Inferno", e che sarebbe andata all’Università perché tutto le stava stretto, e che.

E poi c’era M. Metto solo l’iniziale perché i nomi alle altre li ho messi a caso, mi ricordo più i loro volti che come si chiamavano, o forse non ho mai avuto il coraggio di chiedere, o anche di sentire il loro nome vero.

M. invece la conoscevo, perché andavamo a scuola assieme e faceva la classe accanto alla mia, condividendo le ore di ginnastica e il bus. Di M. ricordo che aveva i capelli lunghi tutta la schiena, e biondi. E i pantaloni stretti e chiari. Lei a volte mi parlava, io stavo zitto, ma poi pensavo a lei nei giorni difficili, come il sabato e la domenica.

Una decina d’anni fa ho provato a cercarla su google, con la speranza vile di non trovare niente, che si fosse sposata con qualche imprenditore o qualcuno di successo o con qualche non so cosa, e fosse sparita: e invece faceva il medico in Bolivia, con le foto del progetto e con tutti i malati e i bambini attorno, con la richiesta di donazioni o di aiuto da parte dei giovani medici di tutto il mondo. E sono rimasto zitto, come stavo zitto sul bus.

Sto scrivendo questo editoriale su un treno di quelli belli – di quelli seri, tipo freccia – in un momento in cui ho il doppio o il triplo degli anni dei passeggeri della corsa 2 Bis della mattina presto, che nel frattempo continua il suo servizio mentre io, e gli altri, ci siamo dispersi altrove.

Vorrei scrivere che sono malinconico, che ricordo con nostalgia i tempi del 2 Bis, che nulla tornerà e che quando ho perso M. l’ho persa per sempre, e che M. non c’è più, oggi c’è un medico nel terzo mondo; che Serena e Paola sono diventate mamme e guidano finalmente i Suv o le utilitarie che costano come le Mercedes; che Stefania sicuramente fa l’aiuto regista a Parigi, o a Londra, o non fa nulla di tutto questo, magari si guarda nello specchio e accende un’altra sigaretta.

Vorrei dirvi tutto questo ma la verità è che non ho nulla da dire, oltre al fatto che per otto anni sono salito su un bus, prima di cominciare a salire sui treni.


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