
Tre puntini sospensivi come da copione
Per scrivere un editoriale, bisognerebbe aver qualcosa da dire.
Il problema è che io non ho nulla da dire.
O meglio: ne avrei di cose da dire.
Ma perché?
Oggi l’unica forma di comunicazione sta nel non detto.
Asciugare. Come un tempo la pasta al sole.
Tutti parlano di tutto. “A schiovere” (letteralmente “a spiovere”, significativamente “a cazzo di cane”), come si dice dalle mie parti di un'altra vita, sovente, senza cognizione di causa e, soprattutto, senza pudore.
Abbiamo perso il senso della foglia di fico.
Un mio amico filosofo, morto troppo vecchio per entrare nel mito e troppo giovane per passare alla storia, diceva che l’umanità si poteva salvare solo con un bel periodo di oscurantismo, una trentina d’anni almeno (ed erano appena gli anni ’80, sarebbero già finiti!). Il non sapere nulla di nulla. “Via dal tanfo, via dal tanfo e per le strade...”. L’inconsapevolezza leggera della vita. Il rendere evento il parto d’un maiale, o la moria di polli del tuo vicino. L’apprezzamento della stilla di sudore prodotta da un corpo affaticato, teso non allo scolpire addominale, ma al semplice faticare.
Ma attenzione: lui non era un luddista, come non lo sono io d’altronde, ma aveva i piedi ben piantati nella terra e, tra le rughe precoci, gli scorreva il mar Mediterraneo. Era un operaio, e amava gli Stones, che aveva visto dal vivo a Napoli nel 1982, carico di sogni suoi e “endovenati”. Vi dico questo solo per allontanare, eventualmente, l’immagine del Buddha de “noantri” o del JimMorrison “der Tufello”.
Un semplice uomo. Che errava (nel doppio senso del verbo) e pensava semplicemente col solo contenuto del suo cranio.
E oggi riderebbe, come vorrei essere in grado di farlo io, senza protervia perché non era roba sua, di tutto quello che si sente in giro.
Ma, d’altronde “oggi chiamano filosofi sé stessi, gli insegnanti di filosofia”… tre puntini sospensivi come da copione.