
La Grande Omologazione
Tutti i principi morali universali sono oziose fantasie. (Donatien Alphonse François de Sade)
Non si scappa mai dall'uniforme, dalla "macchina" (Stato). Fin troppo bene sappiamo che una volta tornati a casa il nostro dovere, la nostra macchina da produzione si farà sempre più sentire. Bisognerebbe essere cretini per non sentirla, ma dal momento che cretini non siamo (o fingiamo di esserlo), ogni giorno, 24 ore su 24 sentiamo la collettività, la sentiamo nella rivoluzione, nell'amore, nella voglia. Quindi si decide tutti insieme: basta con l'informazione, basta con l'odio, basta con la paura.
Ci si ritrova tutti al riparo a parlare con raccapriccianti censure della "grande omologazione". La grande omologazione, cos'è? E' la tua casa, sono i tuoi dubbi, è il tuo capo, è il tuo lavoro (quasi sempre sbagliato), disgraziatamente in alcuni casi è l'infanzia, ancora peggio è la maturità, il giudizio... La grande omologazione no?
Parafrasando Monos e Una e il loro colloquio, cercando disperatamente di portare ai giorni nostri (!?) quel momento di intimità tra quei due innamorati; ci sono stati anni, nei quali il vigoroso poeta - lo storpio, il genio - combatteva per principi ormai ovvi oggi alla nostra mente illusoriamente non condizionata. Resistenti e morenti nell'utilitarismo, questi uomini, proprio questi uomini - tipi strambi -, ebbero granché da piangere quando i bisogni della collettività non furono più semplici. Eravamo tutti caduti nel più triste dei nostri giorni tristi! L'arte aveva raggiunto un valore supremo stringendo catene intorno all'estetica e al turpiloquio intellettuale, e una sua parte divenne in qualche modo borghese. In quei giorni, l'uomo non era più in grado di ignorare la bellezza della vita, del lavoro, dei titoli, delle ambizioni, dell'eleganza. Esultò infantile. Purtroppo aveva raggiunto il predominio su tutte le ragioni.
Nel frattempo sorsero città fumose, le foglie verdi e gli alberi muoiono, non esiste più l'uomo nudo che senza vergogna si lascia andare all'impulso: esiste la macchina. La natura divenne deformata, e non poté più compensare la triste esecuzione delle arti, ma l'uomo non poteva sapere e purtroppo non poteva soccombere. Divenne ancora più stupido quando cercò di avvicinare i doveri a Dio, alle sedi e le istituzioni a suo nome. Qualcuno si accorse (Majakovskij?), che la collettività aveva provocato la distruzione del poeta bruttarello, lo aveva castrato e senza esitazione proseguì con il pervertimento del gusto. Nessun eccesso, nessuna anestesia del senso del dovere avrebbe fermato quel processo.
Arrivando a quasi mezzo secolo fa, benché si litigò abbastanza su cosa l'"etica" dovesse seguire tra la "meravigliosa castità" o la "santa incontinenza", il prete tagliava le pellicole non appena i due attori si baciavano. Andò bene fino alla fine degli anni '60, ma anni dopo l'utilitarismo si rifece sentire, a casa del nemico! La rivoluzione! I giovani contestano e si staccano dalla cultura, l'azione creata porta le armi del capitalismo di quegli anni, e l'uomo incredibilmente più stupido lo rafforza. Picchia, mena, protesta, spara, rapisce.
E la macchina? la macchina è ancora qui, perché non siamo malati, anzi, non siamo I malati (io mi sforzo di esserlo da sempre). La collettività adesso si riveste nella squalifica dell'individuo che non è più carne, che non è più sogni, che non è più istinto. Svalutazione. Svalutazione a scuola, svalutazione a casa, svalutazione a lavoro, svalutazione della carne, svalutazione delle ossa. Quindi, qualora un uomo abbia in mente una libertà, abbia in mente l'arte, dovrebbe essere affrancamento dalla collettività, e non produzione nella collettività! E anche la musica, con buona pace di von Leibniz, che la sottraeva alla coscienza, non è più la stessa.
Alcuni sono ancora vittimisti, alcuni sono ancora rimasti a esultare, alcuni evitano di piangere, alcuni hanno paura. Ma la carne è svalutata perché deve produrre, è troppo cara, e allora la carne infierisce sull'altra carne, la uccide per un parcheggio, la violenta fino a ridurla all'invalidità, diventa nera perché stanca, non dona ma sottrae momenti di gioia ai suoi simili, quando li prende per il culo a lavoro, quando umilia alla lavagna i più piccoli della specie, quando si riduce al sarcasmo, quando non è capace di slanci...
Forse dovremmo essere incontinenti, o impegnarci a esserlo.
immagine di René Magritte - The Murderer Threatened (1927)