Roll Over Proust

Un vasto oceano di luce rifletteva dall’ancora più vasto oceano fluttuante. Le increspature e gli sfavillii si mescolavano generando un caos cristallino, dinamico e plasmabile, meraviglioso nella sua placidità. Tutta questa luce infastidiva l’uomo disteso sulla riva lambito dalle onde.
Erano anni ormai che ogni notte si distendeva sulla spiaggia lasciandosi bagnare dall’oceano ed erano anni che ogni mattina malediceva tutta quella luce.
Si rizzò in piedi di soprassalto e si diresse verso la sua abitazione; se è vero che i suoi risvegli erano sempre bruschi era però altrettanto vero che i suoi sonni erano deliziosamente tranquilli. Almeno fino a quel giorno: per tutta la notte era stato perseguitato da visioni e sensazioni di malessere.

Un peschereccio affondava lentamente in una lamina d’acqua grigia come l’acciaio, un totem volante incombeva sull’equipaggio congelato in posizioni innaturali e che sembrava non avere la minima intenzione di abbandonare la nave. Improvvisamente un lembo di terra colpiva l’imbarcazione mescolando cielo e terra: il totem assumeva proporzioni ciclopiche e si tingeva di cremisi. Un calore infernale evaporava l’oceano riscoprendo un fondale di velluti screziati e tardivamente rassicuranti.

Imboccando il sentiero di casa, rimuginando su quanto lo aveva turbato durante la notte, l’uomo venne colpito dallo strano frutto che pendeva dai rami della quercia ombreggiante la sua dimora. Il peso del frutto piegava il ramo che, inchinato, pareva invitare a coglierlo.

L’uomo corse in casa, ne uscì con un lungo coltello e recise di netto la corda che abbracciava l’esile collo e lo assicurava all’imponente pianta. La pelle d’avorio del corpo illuminato dall’impetuosa luce mattutina pareva avere una consistenza fluorescente; i capelli corvini disegnavano sulle sue spalle un labirinto di segni incomprensibili.
L’uomo trasportò il corpo con devozione e lo stese delicatamente sul tavolo di acciaio del giardino sul retro. In preda a un fervore quasi religioso colse calle, fiordalisi, gelsomini e biancospini e ricoprì il corpo di quella santa visione lasciandone trasparire solo gli occhi, ancora aperti e così profondi.

Pianse; e pianse tutte le lacrime che fino a quel giorno non aveva mai versato.


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