Come sul ring

Fa male.
Ogni secondo.
Sempre di più.

Mi tolgono l’accappatoio, mi aprono le corde, salgo sul ring baldanzoso convinto di vincere il match. Perché io VOGLIO vincere il match!

Gong!
Primi secondi di studio reciproco, qualche colpo per tenere la distanza.
Capisco subito che il mio avversario è veloce e ha un sinistro niente male, infatti già nella prima ripresa subisco un paio colpi, niente di importante, ma uno al volto abbastanza forte lo accuso.

Torno all'angolo, il sopracciglio è spaccato e perde sangue, il mio secondo mi tampona e mi chiede se è tutto a posto. “Sono un pugile, è il mio lavoro prendere pugni, non mi fermerò per così poco!
Testardo.
Ma il mio avversario si accorge della cosa e insiste sul lato malmesso del mio viso, colpo su colpo, con una costanza invidiabile.
E ancora una volta il suo guantone colpisce il mio sopracciglio.
Dolore.
L’arbitro controlla la ferita, mi chiede se ce la faccio a continuare, faccio cenno di si con la testa.

Boxe!
Faccio un paio di finte ma ormai la mia forma è compromessa, sono lento, lui se ne accorge, anticipa le mie mosse, gancio proprio allo scadere della ripresa: ancora il sopracciglio.
All'angolo!

Due misere riprese e sono già finito. Il mio secondo è preoccupato, vuole chiuderla qui, ma io insisto! Io ci credo, so che ci sono ancora le possibilità per fare bene, conosco le mie capacità e voglio andare avanti!

Terza ripresa.
Il mio volto è gonfio e parare i colpi del mio avversario è sempre più difficile.
I miei guantoni, raccolti al volto per tenere la guardia, mi fanno un male cane anche solo quando sfiorano la ferita, ormai sempre più aperta.
Non saltello più, bensì barcollo, la mia vista è offuscata, arriva un altro colpo, questa volta non l’ho neanche visto partire.
Cado a terra.

L’arbitro inizia a contare, il mio secondo è preoccupatissimo, mi urla di non alzarmi!
Eppure ne ho presi tanti di pugni nella vita, dovrei essere abituato”.
Ma questa sera i guantoni picchiano sempre lì, sulla stessa ferita, continuamente, insistentemente, e la mia povera carne martoriata dai colpi non ce la fa più a resistere al dolore.

Fa male.
Ogni secondo.
Sempre di più.

Ma una volta che sei salito sul ring vuoi arrivare sempre in fondo, credi sempre di potercela fare, hai sempre quella speranza che cerca di mandarti avanti.
Vuoi sempre un’altra ripresa.
Vuoi sempre un’altra occasione.

L’arbitro conta il sette, mi metto in ginocchio, all’otto sono in piedi.
Testardo, voglio andare avanti, contro tutto e contro tutti.

Ma il mio secondo si aggrappa alle corde, getta la spugna, mi prende a spalla e senza che io abbia nemmeno la forza di oppormi mi porta via dal ring.
Ormai non vedo più niente, sento gli urli del pubblico quando il pugno del mio avversario viene alzato dall'arbitro a proclamazione della sua vittoria.

Il match è finito, ho perso.
Nello spogliatoio guardo il mio volto tumefatto allo specchio, fatico a riconoscermi.
Il mio secondo mi medica le ferite e mi fa “Cosa volevi fare prima? Farti ammazzare?

La vita è un po’ come la boxe: ogni tanto arriva un colpo e bisogna saperlo incassare.
Ma se i colpi picchiano sempre sullo stesso sopracciglio diventa ogni giorno più difficile sopportarli, soprattutto quando decidiamo testardamente di andare avanti. Fa male.
Ogni minuto.
Sempre di più.

E nella vita non c’è nessun cazzo di secondo che ti getta la spugna.


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