L'automobile

Settembre 2013, undici anni di Brasile, undici anni senza automobile. Non proprio una scelta voluta, ma frutto di diversi fattori: scarsità di risorse economiche, mercato di credito fra i più cari del mondo, prezzo delle automobili considerabilmente alto rispetto alla media mondiale (rispetto a Messico o USA costano il 45% in più ), mobilità già garantita da uno scooter 125 e da un discreto servizio di trasporto pubblico. Poi due figlie a scuola, una casa fuori città ed altre necessità mi impongono di compiere questo passo che si presenta assai più gravoso di quanto non sia nella mia terra natale.

È giunta l'ora di comprar la macchina, insomma, e, dopo aver raccolto sufficienti informazioni e testimonianze, rimangono pochi dubbi e la scelta cade sul modello ritenuto più economico e resistente; la fiat Uno (modello vecchio). Ancora in produzione in Brasile è un auto che ho già posseduto fra il '93 e il '99, anno in cui l'abbandonai in terra di Romania dopo un'avventuroso viaggio con rientro in aereo; scelta avvenuta dopo aver valutato che la vecchietta con ormai 350mila chilometri probabilmente non ce l'avrebbe fatta a riportarmi nel bel paese.

Mai avrei pensato che a vent'anni di distanza avrei ricomprato una Uno usata, meno ancora che per poter far ciò avrei dovuto affidarmi ad un qualche istituto di credito, in questo caso la mia banca che mi ha offerto un prestito con la modica tassa di interessi del 2,4% al mese.
La Fiat uno non è è un bel veicolo, ha un design superato, ma io la prendo con filosofia, ricordandomi che non devo cadere nella tentazione di eleggere un semplice mezzo di trasporto a status sociale, più difficile è trattenermi di dare un ceffone a mia figlia quando dice che è proprio brutta, ma d'altronde studia in una scuola frequentata per la maggiore da gente benestante che gira in auto decisamente più eleganti.

La mia auto non è quella dei miei sogni ma non lo sono neppure quelle in cui si muove la classe A e B della società recifense, Land Rover, Bmw, Audi, marche che fino a qualche anno fa erano eccezioni e ora sono presenza costante nel sempre più infernale traffico metropolitano. L'auto dei miei sogni sarebbe in verità una col motore elettrico, che non dipendesse di benzina e non inquinasse, che più che sogno lo chiamerei illusione. Con tutti gli avanzi tecnologici raggiunti e impiegati nel settore automobilistico, non si è ancora voluto mettere in pensione l'antiquato motore a scoppio, che definirei in questa sede come l'organo di dipendenza personale dal dio petrolio.

Auto, banca e petrolio, il cerchio si chiude, la triade malefica è completa, non c'è scampo...

Aspetta però, la mia Uno ha un motore flex! Ciò significa che funziona anche con l'etanolo, evviva! Corro subito al più vicino distributore e avvicinatomi alla pompa, noto un piccolo cartello esposto per obbligo di legge dove c'è scritto che per essere più conveniente l'etanolo deve avere un prezzo uguale o inferiore al 70% della benzina. A pennarello poi si legge che in quel posto di benzina la proporzione è dell'84%. Io lo interpreto così, che se vuoi puoi mettere etanolo ma sappi che spendi di più, quindi o sei un idealista o sei un coglione.

E penso a Lula... che tristezza, che delusione queste sinistre sudamericane nelle quali una decina di anni fa avevo riposto qualche speranza. Ricordo perfettamente il discorso dell'ex presidente operaio: "L'etanolo è il futuro, lo esporteremo in tutto il mondo, sarà il cavallo di battaglia dell'economia brasileira, è ottenuto da fonti rinnovabili (la canna da zucchero) e quindi sostenibile…" (sostenibile: parola che in bocca a politici e impresari fa rabbrividire).
Risulta oggi evidente che al governo non interessa neppure il mercato interno, in quanto solo una piccola percentuale della popolazione è composta da idealisti e coglioni, e intanto la Petrobras, una delle maggiori compagnie petrolifere del mondo, con 50% di partecipazione statale (sigh!) si fa propaganda col “pre-sal”, giacimenti di petrolio nell'oceano atlantico a profondità infernali, e non dice a nessuno che è in deficit perché non riesce a coprire il fabbisogno interno e deve vendere petrolio importato sottocosto perché il governo mantiene i prezzi bloccati per causa dell'inflazione.

E insomma, il mondo va così e la sensazione di essere presi per il culo è forte. Non mi resta che riempire il serbatoio di etanolo e aspettare il giorno in cui questo maledetto petrolio finisca e si chiuda questa triste era dell'umanità. Quel giorno brinderò con cachaça guardando questo caldo sole tropicale mentre illumina i miei pannelli fotovoltaici che caricano la batteria della mia auto... ma forse è solo un sogno di un idealista o di un coglione.


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