Caino e Abele

Conoscete il significato del termine “globish”?

La parola deriva dalla fusione di “globe” e “english”; il cosiddetto “inglese globale”, quindi, che sarebbe poi praticamente una versione semplificata de l’inglese.

Il primo ad adoperare questa espressione fu l’informatico francese Jean-Paul Nerrière, che si prese pure la briga di stilare una specie di dizionario di circa 1.500 parole tra le più comuni, semplici e diffuse della lingua inglese. Nel tempo, il termine ha assunto un significato più ampio e sottointende, nella pratica, il linguaggio di tutti coloro che si esprimano e comunichino tra di loro in lingua inglese, pure se non perfettamente padroni della lingua e della grammatica e, anzi, pure mescolando di volta in volta la lingua inglese originale, pura, con espressioni, termini o comunque accenti tipici della propria lingua madre (la cosiddetta L1).

Questo fa sì il concetto di globlish sia soggetto a critiche di diverso tipo. Tra quelle principali, è evidente, sussiste quella secondo la quale questa non corrisponda affatto alla lingua inglese. Una critica che viene mossa innanzitutto da coloro che parlino l’inglese come prima lingua e, poi, secondariamente da tutti coloro che siano una specie di “puristi” della linguistica e dell’uso corretto della grammatica inglese. La seconda, invece, ha un carattere più strettamente politico. La diffusione dell’inglese e il tentativo, la possibilità il globish possa divenire in qualche modo una nuova lingua ufficiale internazionale viene vista con sospetto e come una specie di nuovo tentativo imperialista.

Ma tutte e due le critiche fondano a mio parere le proprie basi su fondamenti ampiamente discutibili. In verità, infatti, il globish costituirebbe nella pratica la realizzazione di un sogno e una ambizione storicamente perseguita dall’essere umano, sin da quando il crollo della torre di Babele generò in esso totale confusione e incomunicabilità. Il globish costituisce la realizzazione pratica di quel sogno che fu l’esperanto. Ma dove l’esperanto costituì un tentativo pratico e razionale, sistematico di costruire a tavolino una nuova lunga internazionale; il globish, invece, è una lingua nata sul campo. La sua creazione è in toto da considerarsi come empirica; è qualche cosa di completamente diverso da l’esperanto e nasce, piuttosto che dai tentativi di catalogazione di Nerrière, dal confronto quotidiano tra persone che abbiano un background culturale e sociale radicalmente differente e lontano nello spazio geografico. Non è possibile stilare un vocabolario della lingua “Globish”; questa costituisce un surrogato della lingua inglese, ma essa è in continuo divenire e in costante mutazione. Cosa che, del resto, rende le critiche dei puristi della grammatica assolutamente irrilevanti; dove anch’essi a un certo punto debbano convenire come sia possibile sacrificare la perfezione linguistica e le regole a fronte della possibile universale di comunicare tra gli esseri umani di tutto il mondo.

Ma veniamo a noi. Sussiste, generalmente, in Italia il falso mito che da noi si parli il peggiore inglese d’Europa e che, invece, allo stesso tempo altrove si parli alla perfezione la lingua inglese. Questo è un falso mito ovviamente. Uno dei tanti, ingiustamente alimentato dai media e pure dal fatto che, generalmente, viaggiando, ci capiti inevitabilmente di intefacciarci per lo più con soggetti che per lavoro e abitudini professionali siano abituati a parlare la lingua inglese. Più di noi stessi medesimi, che magari costituiamo, presi nel mucchio, dei viaggiatori occasionali. Ma questo non vuole essere un alibi. Al contrario, ritengo che dovremmo noi italiani, ma noi europei tutti, spingere ancora di più nella direzione di migliorare il nostro utilizzo della lingua inglese, fino a fare di questa la nostra lingua ufficiale. Questo obiettivo, questa realtà, è evidente sia ancora lontana dal divenire; questo perché ci sono troppi interessi in gioco e una generale diffidenza da parte dei singoli stati membri, ancora diffidenti nei confronti della struttura comunitaria e tesi, per questo, a guardare primariamente ai loro interessi piuttosto che all’interesse comune. Ma, se tutti parlassimo la stessa lingua, se tutti parlassimo l’inglese, allora, proprio all’interno di questa struttura comunitaria, saremmo finalmente veramente tutti uguali, perché avremmo finalmente tutti le stesse possibilità. Sarebbe questa la vera base su cui costruire qualche cosa di unito e un presupposto importante per stabilire finalmente questa unità anche sul piano istituzionale e legislativo.

Affinché questo accada, tuttavia, bisognerebbe scegliere. E scegliere, fare delle scelte importanti e decise, è ciò che manca oggi a livello comunitario, ma pure a livello nazionale.

Sono un uomo del sud… sono un uomo del sud solo perché sono nato al sud. Ma avrei potuto nascere ovunque. In generale, non mi sento tanto cittadino del sud, quanto piuttosto cittadino italiano; quanto cittadino del mondo, essendo da sempre stato votato a una ispirazione di tipo internazionalista. Ne consegue io non abbia mai avuto storicamente pregiudizi oppure difficoltà, ove io abbia dovuto per lavoro interfacciarmi con realtà geografiche diverse o più o meno lontane dalla mia. Qualche giorno fa, tuttavia, non entrerò strettamente nel merito della questione, ma dalla cittadina di Bressanone ho ricevuto un documento ufficiale scritto e redatto in lingua tedesca. Rispetto le tradizioni culturali di ognuno, ma nel 2014 ritrovarsi tra le mani un documento (italiano) scritto in una lingua straniera ritengo sia una forma di provincialismo; una forma di ostruzionismo linguistico e provinciale e una vera e propria barriera culturale. Questo, questo tipico provincialismo, allora, è una vera macchia di cui dobbiamo liberarci il più presto possibile. Pure sacrificando sull’altare degli interessi di tutti l’utilizzo della grammatica. Questa poi, la riscriveremo dopo, tutti quanti assieme.


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