Pensatela come vi pare

Pensatela come vi pare, io piango Marco Pantani.

E non solo, anche se pure, per l'uomo solo al comando. L'uomo che parte, e ti fa saltare sulla sedia. L'eroe, quello che lo segui, lo guardi, vuoi sapere.
E nemmeno solo per quella roba, piantata nella mia testa, del perché vai così veloce in salita, risposta perché così si abbrevia la mia agonia.

Piango Marco Pantani, drogato oppure no, perché è il mio ultimo eroe.

Droga, nel ciclismo, c'è da sempre, inutile fare finta di no. Parlate con chiunque, questo sport, lo pratica. Anche a livello semiprofessionistico. Ve lo dice. Papale papale. O prendi la bomba o non vai avanti.
Dai tempi di Coppi, forse anche prima. C'è. Piantiamola con le cagate, le idee dei complotti, Vallanzasca che dice che uno gli ha detto di scommettere, quelle robe lì.

C'è e c'è da sempre. Ma, nonostante ciò, rispetto.

Pantani, dalla sua carriera, bella, sfolgorante e indimenticabile, ne ricava una villa, poco lontana da Cesenatico.
L'ho vista, quella villa lì. Bella. Tipo che qualunque calciatore, chiunque giochi diciamo in serie c, se ne fa una grande il doppio.

Ma lui l'ha pagata, quella villa lì. L'ha pagata con la sua agonia, con la droga, con la cancellazione dalla memoria. Sei solo un drogato, vatteneaffanculo, e maledetto me, che per te ci ho gioito, e sofferto.

Lo sport, come tutti i maschietti, lo seguo fin da quando ero bambino. E c'ho i miei eroi, i miei amori, le mie preferenze. E quando sei bambino pensi che sia una cosa vera, lo sport, il tifo, voler bene a una squadra, seguirla, anche quando va male.

Fare - ad esempio, come è capitato a me - coraggio a un pippone come Luther Blissett. Perché è della tua squadra. Oppure piangere al goal di Mark Hateley, nel derby di mille anni fa. Quel goal di testa, liberatorio, dopo milioni di derby persi. O condividere la sua gioia, così vicina ad un orgasmo, dopo un goal di rapina contro la Roma.

Poi cresci.
E ti rendi conto che di te, alla tua squadra, ai tuoi idoli, non gliene frega niente. E allora trovi un altro modo, per condividere, per gioire.
Cerchi, e trovi, qualcuno che ti racconta una storia.
Perché questo - di fondo - è quanto di bello c'è nello sport. Che qualche volta, inaspettatamente, inspiegabilmente, ti racconta una storia.

Come la storia dell'Olanda del '74, a Monaco di Baviera, la squadra più rivoluzionaria di ogni tempo. All purpose, come dicono gli americani. In ogni sport, in ogni cosa. O l'Italvolley di Velasco. L'orgoglio. Inaspettato e insperato. O l'Olimpia del Nano Ghiacciato, bella e sfortunata. O i Kardiac Kids, da sempre nel mio cuore, o mille altri.

E persone, anche. Come gli Unti Dal Signore. Maradona, Tomba, Kasparov, solo per citare i primi tre che mi vengono in mente. Anche un po' teste di cavolo, per carità. Ma insomma, se si parla di quello sport lì (il calcio, lo sci, gli scacchi) non c'è niente da dire. Stai lì e li guardi.
E dici nessuno potrà mai essere come te. Mai. Si spegne. Si chiudono le iscrizioni. FInita.
Belli, gli Unti Dal Signore (chiunque egli sia).

Ancora più bello, indimenticabile, Uno che, prima di una tappa in salita, gli chiedono: cosa farai, che piano hai. E lui risponde non lo so. Non so che Marco Pantani sarò oggi. E spero di esserlo, il Pirata. Uno che il signore non l'ha baciato. Uno che - per lui - ogni cosa che ottieni è sofferenza. Droga o non droga. Uno che - sul traguardo, vincitore - non ha mai sorriso. Ma solo tirato il fiato. E detto, madonna, guarda che Pantani sono stato oggi. Non lo so se riuscirò mai più ad esserlo.

Uno che non solo non lo sa di essere eroe. Ma nemmeno sa se riuscirà ad essere sé stesso. Mai.

Ecco, da quel giorno lì, da quel giorno a Madonna di Campiglio, dello sport non me ne frega più niente.

E piango Marco Pantani, pensatela come vi pare.



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