C'è stato un breve periodo, a cavallo tra la fine degli anni '80 e l’inizio dei '90, in cui una band che traeva il proprio nome da quello di un corpo anarchico Andalusino, i Mano Negra, divennero uno dei più grandi gruppi di rock mediterraneo, se non il più grande. Un breve periodo in cui un giovane artista franco-spagnolo di nome Manu Chao inventò un genere (la "patchanka"), la cui unica base stava in una sola, variegata parola: eclettismo.
La matrice del suono di questo magnifico trio tutto "familiare" (Manu alla chitarra, il fratello Tonio alla tromba e lo scoppiettante cugino Santiago Casiriego alla batteria) risiede infatti in un'originale commistione di rock inglese (soprattutto punk), ritmi latino-americani che si spostano dallo ska-reggae alla salsa, fino al flamenco-dub, sposandosi con l'urgenza di testi d'impegno e di riflessione sul mondo e le sue magagne. Ma il fascino del gruppo sta proprio in questa sua ricerca di non classificabilità, di universalità (con testi cantati in più lingue, soprattutto spagnolo e francese, ma anche col passare degli anni in inglese e in italiano), portatori globali di un messaggio di solidarietà politica e sociale. Per questo motivo non esiteranno a cimentarsi in tournee estenuanti e di respiro mondiale, centrando non solo le capitali di ogni dove e d'ogni bandiera, ma anche inventando veri pellegrinaggi musicali nei paesi più sperduti e in difficoltà (memorabile il "Cargo Tour", per il quale noleggiarono un barcone che fece il giro di tutta la costa occidentale dell'America Meridionale, con i nostri a suonare nei porti di ogni piccolo villaggio).

Purtroppo come tutti sanno è però difficole rimanere a galla senza il supporto delle major, e anche i Mano Negra hanno dovuto sottostare (anche se non troppo) ai voleri della Virgin, che per lanciarli commercialmente dopo l'ottimo esordio di "Patchanka" (1988) ristampò l’album in mille salse ("Puta's Fever", "Amerika Perdida"...) aggiungendo o sottraendo i pezzi anglofoni, a seconda di destinazioni mediterranee o anglo-americane.
In seguito i confusi Mano Negra pubblicheranno il modesto "King Of The Bongo" (1991), il quale pur ottenendo ancora maggior successo delle stampe precedenti è un prodotto al di sotto delle aspettative (ed esplicitamente indirizzato al mercato americano).
A questo punto il cammino della band, dopo un fantastico tour sulla costa Colombiana (stavolta a bordo di un treno!) si trova di fronte ad un bivio: continuare la propria missione di complesso militante e zingaresco che vuole sensibilizzare e divertire nei margini di una nutrita ma limitata schiera di fan appassionati o allargare i propri orizzonti alla conquista di UK/States e cioè del cuore musicale del mondo.

La scelta è "Casa Babylon". Non solo un album, non solo la summa di tutta la storia Mano Negra, non solo il loro capolavoro più denso e completo. Concepita come una sorta di radio libera e indipendente, pronta a trasmettere tutti i suoni del primo, del secondo o del terzo mondo, senza distinzioni etniche o pregiudizi espressivi, la Casa Babylon si appresta a divenire la London Calling degli anni ’90. Infatti 15 anni dopo il seminale calderone internazionale dei padrini Clash il miracolo si ripete: un concept album che vuole tenere insieme tutte le anime del mondo, partendo stavolta da Parigi, ma con la stessa voglia di solidarietà tra popoli e tradizioni, come un grande abbraccio socio-culturale.
Si parla di eroi popolari (da Zapata a Maradona), di allucinanti profezie global (la fantastica Hamburger Fields), storie di guerre in difesa di una patria che deve appartenere a tutti (Machine Gun o El Alakran), celebrazioni della mamma visto che ce n'è una sola (Mama Perfecta), visioni d'utopia ma lucide e piene di vitalismo gitano (Sueño De Soletiname, This Is My World).
E' un viaggio all'interno di questa enorme Babilonia, dove Manu Chao ha ormai acquisito completamente il ruolo di mente maestra del complesso, portando a maturazione e coerenza sia la poesia politica sia l'edonismo più chiassoso, confluendo in questo universo bellissimo, colorato e pieno di odori, di hip-hop, elettronica, rai, jazz mescolato a trip-hop, collage sovra-registrati, organetti psichedelici e altro la sua ammirevole visione socio-musicale.

Purtroppo Casa Babylon sarà il canto del cigno di questo virtuosa band: Manu Chao, esaltato dal plauso sempre più unanime del pubblico, deciderà di gettarsi in una carriera solistica destinata dopo buoni risultati iniziali all'implosione, evidentemente per un lento declino creativo e per un'errata sovra-esposizione politica. Ma riascoltiamolo qui, infaticabile Robin Hood solare e irriverente, intento a colpire con i suoi fedeli compagni il polveroso cosmo neo-gobal della musica popolare a suon di sperimentalismi, sanguigna passione civile e tanta voglia di giocoso divertimento sonoro.

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