Marc Johnson è come Beppe Bergomi: campione del mondo a 19 anni, dopo non puoi più deludere.
Perchè a 19 anni questo signore, Johnson non Bergomi, ha cominciato la carriera accompagnando Bill Evans nel suo ultimo trio che è come diventare campione del mondo. Bando ai parallelismi filocalcistici, non credo che abbia bisogno di particolare presentazione questo talentuoso contrabbassista jazz, raffinato, virtuoso, che ha dato un grosso contributo all'innovazione jazzistica con i suoi Bass Desires (Bill Frisel, John Scofield, Peter Erskine) fino ad arrivare ad un album eccezionale come "The Sound Of Summer Running", inciso per la “Verve” nel 1998.
Qui Johnson è il leader di una formazione micidiale ed intrigante dove per un verso lo stile chitarristico aereo e pulsante di Pat Metheny, è affiancato da quello onirico e descrittivo di Bill Frisell, per l'altro il fido contrabbasso del leader sostenuto dall’inventivo drummer Joey Baron. Tutte personalità fortissime e difficili da mantenere equilibrate eppure Marc Johnson, alla regia, è riuscito in questo miracolo; tutti i suoni sono totalmente integrati e complementari tra loro pur non trascurando proprio le individualità che emergono chiare e forti.
La prima traccia, “Faith In You” , è l’ingresso in un mondo sonoro affascinante, ricco delle suggestioni che emergono dal tema doppiato di due chitarre, su un rutilante e discreto tappeto ritmico, che rievoca atmosfere vagamente folk, ancor più pronunciate nel successivo “Ghost Town” quasi dal sapore di una ballad di Jackson Browne.
Si respira grande raffinatezza ma anche voglia di semplicità, melodie popolari filtrate dal gergo jazzistico ed un connubio artistico, tra Metheny e Frisell, deliziosamente riuscito, per la sensibilità e la complementarietà dei due mondi musicali, che si apprezza anche nel blues di “With My Boots On” dove, peraltro, Marc Johnson oltre al grande lavoro di cesello in fase di accompagnamento, si produce in un mirabile solo pieno di sapienti bending (ovvero stiratura di note). Lo swingante treno di “Union Pacific” ci riporta in un ambito più ortodossamente jazz, in cui Johnson “cammina” con le sue bass lines indicando la strada agli assolo delle due ispirate chitarre e sostando, poi, nella quiete di “Porch swing” che, malgrado il titolo, ha il potere evocativo di un film di John Ford con un bivacco di cow-boys nel tramonto rosso fuoco del Missouri.
Inaspettatamente con un “twist” ludico e leggero, “Dingy-dong day”, la band si sbizzarrisce in giochetti musicali di classe con tanto di chitarre alla Hank Marvin degli Shadows, prima di “avventurarsi” in “The Adventures Of Max And Ben”, contributo compositivo di Frisell ed uno dei pezzi più di ricerca dell’album, in cui armonie molto spigolose si avvitano creando e distruggendo continuamente mondi sonori in cui Frisell da sfoggio di tutto il suo sconfinato bagaglio sonoro. “In A Quiet Place” è una dolce melodia composta da Marc con Eliane Elias, eseguita mirabilmente e “methenyanizzata” da Pat con l’acustica che anticipa la fine dell’album, all’insegna della raffinatezza, con “For A Thousand Years”, il “cadeau” compositivo che Metheny fa all’amico Marc.
L’album è corso via in fretta, come fanno certe emozioni che ci rapiscono completamente, ma lascia un animo carezzato e quieto, arricchito dalle musiche di un ensemble straordinario mirabilmente diretto da questo grande bassista. Questo gioiellino musicale, a mio parere, merita sicuramente un posto negli scaffali e nei cuori di appassionati jazz e non, si distingue infatti, per originale creatività e ricercata raffinatezza, patrimonio non comunissimo nella copiosa produzione del jazz contemporaneo.
Buon ascolto.
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