Non che abbia a che fare con quello più celebre di Munch, anche se del povero Edvard, una buona percentuale di pseudo-intenditori ricorda solo quella figura desolante che esprime qualcosa di inquietante da un ponte anonimo e gelido. Magari la riconosce come "L'urlo di Munch" e basta, ignorando che Munch è il nome dell'autore e che ha dipinto anche altro. "L'urlo" di Marco Tardelli pur non essendo stato incorniciato per l'esposizione in alcuna galleria, possiede i fattori fondamentali per essere annoverato tra le opere d'arte. Senza nulla a togliere all'artista nordico, ma sarà che in quello del calciatore trapela anche un minimo di patriottismo, personalmente, riesco a trovarci sensazioni che, con il fattivo ausilio dell'immagine in movimento, risultano più efficaci, a tal punto da preferirlo per carica emotiva e potenza morale.

Nel 1982, storicamente, l'Italia stava cercando, faticosamente di riemergere, una parte dal mare e un'altra dalle macerie della stazione di Bologna. Due anni prima, troppi innocenti erano scomparsi senza un motivo e le ferite ancora brucianti attendevano un minimo di riscatto. Calcisticamente la squadra nazionale cercava invece di dimenticare le stordenti sconfitte subite in semifinale con l'Olanda di Cruijff e in finale per bronzo ed erbetta contro il Brasile. Il mondiale insanguinato dalla feroce dittatura di Jorge Videla fu vinto dall'Argentina. Ovvio no?

Il cammino dell'Italia nel mondiale spagnolo non fu, almeno inizialmente, tra i più memorabili. Dobbiamo ringraziare qualcuno nell'alto dei cieli se riuscimmo a strappare la qualificazione agli ottavi dopo una corsa arrancante decisamente in salita. All'epoca ero un frugoletto di quattro anni e mezzo con una sorellina nel box, ma conservo ricordo limpido e affettuoso della sacrosanta trepidazione davanti la cara, vecchia Magnadyne a 14 pollici, in plastica rossa e transistors, rigorosamente in bianco e nero che con qualche interferenza annunciava la discesa nell'arena del Bernabeu mediante l'indimenticabile voce di Nando Martellini.

Ripercorrere il cammino mondiale degli azzurri di quell'anno è d'uopo. Tre pareggi ignobili con Polonia, Camerun e Perù, caratterizzarono il passaggio per "ventinove e trenta" ai quarti di finale sperando di approdarvi in compagnia della Atollo K o della Repubblica Amatricianese. Neanche per idea. In compenso, allegramente sottobraccio ci ritrovammo Argentina e Brasile. Prima avversaria da fanculeggiare, la biancazzurra campionessa in carica. Finirà 2 - 1 grazie a Tardelli e Cabrini, nonostante qualche minuto senza fiato per il goal di Passarella. Contro il Brasile di Zico, Falcao, Socrates e Junior, l'Italia, "anema e core" ci regalò un partitone da antologia. Tripletta di Paolo Rossi che affonda due pericolose aggressioni di Socrates e Falcao. Ad Antognoni annullano un goal regolare e il Brasile va a casa con la maglietta strappata. Semifinale contro la Polonia che verrà eliminata grazie ad una doppietta del solito Paolo Rossi.

11 luglio 1982, Madrid. Stadio Santiago Bernabeu. Si gioca contro la Germania Ovest, vincente sulla Francia in una partita resa drammatica dall'uscita da codice penale di Schumacher su Battiston. Tre denti saltati e commozione cerebrale. Francia battuta ai rigori. Contro la nazionale di Stielike, Littbarski, Rumenigge, Briegel, il caro "seleccionador" Enzo Bearzot schiera una squadra che sottolineo orgogliosamente come "mezza Juventus". Zoff, Gentile, Scirea, Collovati, Bergomi, Cabrini, Oriali, Tardelli, Conti, Graziani, Rossi. Sugli spalti, Re Juan Carlos e il meraviglioso Presidente Pertini. Italia in salita con un rigore sbagliato da Cabrini e Graziani che si stira venendo sostituito da Altobelli. Mossa azzeccata. Dopo un primo tempo muto, Rossi sveglia le speranze al '57 ma è al '69 che viene scritta questa storia. Rumenigge da centrocampo passa a Breitner che perde la palla soffiatagli da Rossi. Quest'ultimo, affiancato dal rimpiantissimo Scirea, cavalca fino all'area avversaria. Qualche scambio di palla fino a quando Scirea intuisce la possibilità di tiro di Tardelli. Passaggio filtrante che finisce sul destro di quest'ultimo. Palleggio, breve rincorsa e fucilata felpata di sinistro dalla mezzaluna dell'area che si inserisce all'angolo basso alla sinistra di Schumacher.

Chi può dimenticare quello sfogo, quella, perdonatemi l'ossimoro, rabbia basita, incredula. Tardelli ha appena il tempo di rendersi conto dell'impresa che con gli occhi spalancati da una felicità folle, scuote la testa, apre le braccia e con i pugni serrati carica il diaframma per spaccare il muro del suono con un urlo per troppo tempo schiacciato in corpo. La carica esplosiva gli si espande nelle gambe per una corsa orgogliosa e sanguigna che invano viene bloccata dalle braccia festose dei compagni di squadra. Goooool, goooooool, goooooool. Una forza bruta, potente, una scarica elettrica in quei muscoli nervosi. L'urlo di Tardelli che sugli spalti del Bernabeu, magari, si sente ancora.

Ad apporre il sigillo ci penserà Altobelli. Goal della bandiera del temibile Breitner. Poi, quando l'arbitro Coelho raccoglie il pallone con entrambe le mani per mostrarlo al cielo, Martellini grida il suo "Campioni del Mondo!" al cubo e marchia a fuoco una partita storica.

Che belle quelle bandiere italiane che vedevo sventolare dai vetri appannati della mia cameretta. Le urla festanti, i clacson delle macchine in tripudio e i rombi truccati delle vespe stracariche. I bagliori dei fuochi che entravano in stanza illuminandomi il pupazzo di Coccolino...

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