Quando ti rendi conto che un brano musicale ha fatto uno sfracello totale e definitivo nel tuo cuore?
Quando sono passati 13 minuti e 28 secondi e ti sono sembrati il battito d'ali di una farfalla.
E ne vuoi ancora.
Questo è esattamente ciò che ho provato ascoltando il primo brano "The Pretty Road" di questo disco di una musicista, compositrice e bandleader che fino a pochi giorni fa non conoscevo assolutamente. Ma ben venga l'autocritica, se in cambio ottengo queste incantevoli epifanie. Queste indispensabili scoperte.
Maria Schneider (una curiosa omonimia con l'attrice di "Ultimo Tango a Parigi") in realtà vanta una carriera decennale e ha nel suo curriculum un apprendistato nientemeno che con Gil Evans, il carismatico "grande vecchio", forse colui che ha più innovato il linguaggio della big band in ambito jazzistico. Di Evans ha ereditato l'ariosità nelle composizioni e specialmente negli arrangiamenti, aggiungendo di suo uno squisito gusto contrappuntistico, probabilmente mutuato dai suoi studi classici. Non a caso, per il suo nutrito ensemble preferisce il nome di "Orchestra". Questo spostamento graduale di coordinate, dalla big band di matrice prettamente jazzistica, a una ricerca di un linguaggio musicale più ampio e totalizzante, che comprenda anche impasti orchestrali di stampo "classico", è ben visibile nel progredire della sua carriera, e culmina appunto in questo suo ultimo "Sky Blue", che la critica di mezzo mondo ha giustamente additato come il suo capolavoro.
Ad un percorso artistico tanto originale, non poteva non affiancarsi un approccio anticonvenzionale alle produzioni e all'industria discografica. Gli ultimi due CD a suo nome sono editi dalla Artist Direct, un'associazione di fan che producono le incisioni autotassandosi, donando una libertà creativa totale agli artisti coinvolti. "Sky Blue" e il precedente "Concert in the garden" sono totalmente svincolati dalla grande distribuzione, non si trovano nei negozi ma sono acquistabili solo presso il sito web della Schneider. Entrambi i dischi hanno vinto un Grammy Award, alla faccia di quelli che pensano che un musicista non possa avere visibilità e successo al di fuori dei circuiti tradizionali.
In questo suo ultimo lavoro troviamo un manipolo di strumentisti a lei fedelissimi, molti dei quali sono nella band fin dai suoi esordi. I solisti coinvolti sono ancora poco noti al grande pubblico, ma si tratta di nomi che si stanno prepotentemente affermando nella scena newyorkese di questi ultimi anni. Impossibile non citare il sassofonista Donny McCaslin, autore di un entusiasmante assolo in "Cerulean Skies", lucido, trascinante e perfettamente integrato con le sontuose volute di suono create dalla Schneider. La fisarmonica di Gary Versace, vera chiave di volta nei passaggi più tenui e sognanti, spesso in un ispirato dialogo con il pianista Frank Kimbrough. Il clarinettista Scott Robinson che si inerpica per gli zigzaganti sentieri di "Aires of Lando", gravido di latina malinconia. O ancora, la notevole trombettista Ingrid Jensen, che si mette in mostra in "The Pretty Road" con flicorno ed effetti elettronici. Tutti fanno un figurone, rivelandosi particolarmente empatici e funzionali alla visione sonora della bionda bandleader. In fin dei conti, quello che conta davvero è l'apporto che dà ciascuno dei musicisti alla creazione di un unico organismo sonoro, capace di convogliare enormi masse di luce ed energia nell'evocazione di paesaggi di sconfinata serenità e di purissima emozione. Ma quanto sono ampi, e azzurri, i cieli della bella Maria... E che sconvolgente, indicibile fascino emana il pezzo forte della selezione, il lungo ed articolato "Cerulean Skies"...
Anche i più distratti di voi avranno capito che sono assolutamente innamorato di questo disco. Lunga vita a Maria Schneider, che continui ancora a lungo ad assemblare i suoi vascelli di aria, di vento e di luce. Sono sicuro, che di lassù, Gil Evans approva.
E sorride.
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