Anni '70, sullo sfondo squallidi casermoni popolari dell'hinterland milanese. Il metalmeccanico Giulio Basletti, impenitente scapolo cinquantenne, decide di mettere su famiglia con la giovanissima Vincenzina, una parente di amici appena emigrata al Nord da Montecagnano. Impegnato sindacalista, perfettamente a suo agio nel clima progressista dei suoi anni, il Basletti non perde occasione di professarsi moderno e di mentalità aperta, in contrapposizione con i parenti di Vincenzina, che cercano a fatica di trasferire il modello meridionale di famiglia patriarcale in una Milano industrializzata. La sua vita si divide tra il lavoro in fabbrica, lo stadio e la quotidianità con la bella Vincenzina, che ricambia l'appassionato e tenero amore che Giulio nutre per lei. A seguito di una manifestazione di piazza a cui Giulio partecipa, inizia a frequentare la famiglia Basletti il giovane e aitante Giovanni Pizzullo, celerino del Sud rimasto ferito negli scontri, interpretato dall'esordiente Michele Placido. Come era prevedibile, scoppia ardente la passione tra Giovanni e Vincenzina nonostante lei abbia cercato invano di resistere alle pressanti avanches del focoso poliziotto. Incoraggiata dall'atteggiamento comprensivo di Giulio, la ragazza confessa il tradimento al marito, sinceramente decisa a superare l'infatuazione e riprendere la vita coniugale di sempre. Ma nonostante i suoi sforzi di dimostrarsi civile e "degli anni '70", Giulio non riesce a contenere la disperazione e la gelosia e, a seguito di una lettera anonima, si sente in diritto ma più che altro in dovere di cacciare pubblicamente di casa l'adultera. Stanca di sentire i due rivali rivendicare diritti di proprietà su di lei, Vincenzina abbandonerà entrambi al loro orgoglio maschile e alla loro incapacità di comprenderla. Ritroviamo i tre personaggi dopo alcuni anni: Giovanni, coniugato con una giovane "fedele ed ubbidiente, come deve essere una moglie vera e propria"; Giulio, che vive in malinconica solitudine la sua nuova vita di pensionato, tra la bocciofila e le partite a carte, mentre Vincenzina, diventata sindacalista nella fabbrica di cui è capo reparto, ha imparato a non farsi più scegliere ma a prendere in mano lei stessa la sua vita e il suo destino, e a pagare da sola il prezzo di un'indipendenza fino ad allora sconosciuta.

Costruita sui flash-back e sui commenti fuori campo del protagonista, scritta dal regista in collaborazione con Age e Scarpelli, "Romanzo Popolare" è una commedia amaramente ironica, che innesta le tematiche sociali di quegli anni (il proletariato industriale, l'immigrazione meridionale, l'emancipazione della donna) su un impianto melodrammatico che ne ha decretato un vastissimo successo di pubblico. I punti di forza del film si ritrovano nella straordinaria interpretazione di Ugo Tognazzi, perfetto nella parte dell'operaio illuminato e progressista solo a parole, e nella presenza di una splendida Ornella Muti, ma soprattutto nella ricerca linguistica dei dialoghi. Interessante è la commistione di dialetti che si parla nel casermone dei Basletti, in cui si ripropone la dimensione di famiglia allargata dei cortili meridionali. Le battute di Giulio, in stretto gergo lombardo, mescolano un linguaggio tipicamente sindacalista con metafore calcistiche e sono debitrici dell'apporto di Beppe Viola (che compare nella divertentissima scena del cinema nella parte del bigliettaio "democratico e cristiano") e Enzo Jannacci, autori non accreditati delle parti in dialetto milanese. Particolarmente efficace è la rappresentazione della squallida periferia operaia, in cui sembra di sentire l'odore del caffè della mattina, delle umide albe nebbiose prima di entrare in fabbrica, della carta da parati nei sovraffollati appartamenti delle famiglie meridionali. Chi in quegli anni non era ancora nato può facilmente ritrovare in quelle case e in quella fabbrica i frammenti di vita raccontati da chi li ha vissuti. Altrettanto azzeccata è la scelta della colonna sonora: "Sono una donna non sono una santa" commenta ironicamente la scena d'amore tra la Muti e Placido, ma è soprattutto la dolente "Vincenzina e la fabbrica" di Jannacci a rendere vivida e struggente l'atmosfera del film. Un film che, pur con diversi punti deboli e cadute di stile in particolar modo nella rappresentazione della grottesca "caduta in basso" del protagonista, ha l'innegabile fascino di rappresentare uno spaccato dell'Italia degli anni '70, con la stessa precisione sociologica con cui "Il Sorpasso" ha descritto il decennio precedente. Il voto sarebbe 3,5, ma il personalissimo valore affettivo lo fa salire a 4.

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