Masaomi Kanzaki fa parte della generazione di autori giapponesi che mossero i primi passi a livello professionale nella prima parte degli anni 80 (mi riferisco a gente tipo Yoshihisa Tagami, Ryōji Minagawa, Masamune Shirow…), e messisi sulle orme di Katsuhiro Ōtomo, portarono ad una piccola rivoluzione nell’ambito del fumetto giapponese. Con loro prese il via una stagione cyberpunk, inquadrabile a livello temporale nel decennio a cavallo degli anni 80 e 90 (l’epoca d’oro dei retini secondo me) con pubblicazioni accumunate da elementi nuovi che le rendevano buone per i palati di entrambi i target di mercato shōnen e seinen: storie parecchio crude, in gran parte incentrate sul rapporto uomo macchina, tavole fittamente disegnate, al bando la lesina di china, accuratezza dei dettagli, tratto frenetico, atmosfere cupissime, uso massiccio di retini e linee cinetiche, e un’attenzione particolare per il mecha design.

Come è stato evidenziato nella recensione su “Xenon” presente sul sito, più o meno in corrispondenza dei primi anni 2000, Kanzaki ha drasticamente ‘revisionato’ il proprio stile di disegno, al punto che confrontando le opere della prima parte della sua carriera con quelle post 2000, sarebbe quasi possibile parlare di due autori diversi se non fosse per il nome che compare sulle copertine.

Lo stile del (chiamiamolo) “primo” Kanzaki è emblematico della stagione cyberpunk di cui ho detto. Puzza di fine 80/inizio 90 già ad una prima occhiata. Xenon, Street Fighter II (vaccata fotonica) e Kaze sono quanto è arrivato in Italia di ciò che il tipo ha prodotto in quella fase della sua carriera. Non molto quindi.

Quando ero banotto, leggere Xenon stravolse totalmente i miei gusti in fatto di fumetti. L’espressività dei volti disegnati fu ciò che mi colpì di più. Al tempo era qualcosa di nuovo, una bomba rispetto alla poca resa emotiva dei volti nei fumetti americani e di totalmente diverso rispetto a quello che veniva prodotto in Italia (escluso forse Nathan Never). Xenon aveva dalla sua anche una gran storia. Quella raccontata in Kaze (vento) a perer mio non è altrettanto buona.

Vengono raccontate le vicende di un giovane lottatore di wrestling, spedito attraverso un rito magico in un mondo parallelo a quello reale in cui si reincarna in un suo antenato. Quello in cui è finito è un mondo onirico in cui si fondono elementi del Giappone dell’era Keicho (info trovate sul web), elementi fantasy e fantascientifici (aerei e macchine da guerra stranissime). Il compito che gli tocca è quello di contrastare l’intento di un mago di riportare in vita un potente essere maligno.

Un po’ dello spirito cyberpunk presente in Xenon e in altri titoli che in passato mi è capitato di vedere di sfuggita alle fiere (es.: Ashguine, rigorosamente in edizione giapponese) è andato perduto. Ma a livello strettamente grafico, Kaze è probabilmente l’opera migliore del primo Kanzaki. Il particolare contesto ingegnato offre più libertà all’autore, gli da la possibilità di giocarsi la carta del surreale e di creare tavole molto belle, fitte di particolari fantastici e altamente evocative.

Le impressioni che riporto derivano dalle mie ‘letture’ delle edizioni originali giapponesi dei tankōbon che giravano in Italia circa una quindicina di anni fa. Per chi fosse interessato so che è in corso la pubblicazione dell’edizione italiana. Io ne sto alla larga tanto mi interessa solo l’aspetto grafico dell’opera. Non conosco il prezzo ma per amanti dei manga vecchia maniera forse può essere l'occasione di rifarsi le pupille.

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